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Una dichiarazione di guerra contro la Russia?

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Recentemente un noto teologo sunnita, lo sceicco Youssef Qaradawi ha fatto dei commenti alquanto sorprendenti e inaspettati, affermando
semplicemente che “Mosca (la Russia) è recentemente diventata un nemico dell’Islam e dei musulmani, il nemico numero uno ( …) e la Russia
è responsabile della morte dei civili in Siria
.” Durante il suo sermone pronunciato a Doha (capitale del Qatar), ha detto che i pellegrini musulmani alla Mecca quest’anno dovrebbero pregare “per la distruzione di Russia, Cina e Iran, che secondo lui sono i peggiori nemici dei musulmani e degli arabi, perché supportano il regime di Bashar al-Assad con la forza delle armi.” 

Questo teologo aveva anche lanciato una fatwa per l’omicidio di Gheddafi, all’inizio del 2011, una fatwa che  paradossalmente si è vista realizzare tramite gli eserciti occidentali. Sheikh Yusuf al Qaradawi, qatariota di origine egiziana, è ben noto e molto popolare in tutto il mondo  musulmano. Radicale e vicino alla confraternita dei Fratelli musulmani, ritiene che “la democrazia non sia compatibile con la Sharia” e anche che “la punizione inflitta agli ebrei da Hitler fosse la volontà di Dio e se Dio vuole, la prossima punizione sarà inflitta agli ebrei dai musulmani.” E’ anche un forte sostenitore degli attentati suicidi di Hamas in Israele e dice anche che l’Islam tornerà in Europa, ma questa volta da conquistatore.Nel 2002, lo sceicco, che è anche presidente di una istanza teologica che si chiama Consiglio Europeo per la Fatwa e la Ricerca (CEDF), è stato accolto con grande clamore in Francia. Nel 2004, gli venne anche chiesto dal governo francese di contribuire alla liberazione di ostaggi francesi in Qatar. Poi la marea cambiò, e benché la molto formale UOIF (Unione delle Organizzazioni Islamiche di Francia) sia affiliata con il CEDF,  quest’anno allo sceicco è stato vietato di entrare in Francia dall’ex presidente Nicolas Sarkozy in persona.

Queste osservazioni che emergono nel bel mezzo del conflitto siriano, illustrano perfettamente non solo le tensioni che circondano la Russia da parte delle frange più radicali del mondo musulmano, la guerra che cova in seno al mondo musulmano, ma anche le alleanze dirette, indirette
o che si stanno  creando indirettamente. Gli occidentali, che si sono fatti a lungo delle illusioni sulla primavera araba, possono chiaramente
vedere come la situazione non stia oscillando verso una società democratica, ma verso un inverno islamista. Tuttavia, la politica dei due pesi e due misure dell’occidente non è mai stata così evidente.

L’analista francese Alexandre Del Valle ha osservato  recentemente, e con molto stupore, che le potenze occidentali erano, per esempio, pronte
ad attuare la loro visione dirittumanitarista e interventista per proteggere i sunniti siriani, ma non hanno visto  la necessità di intervenire contro il massacro di due milioni di cristiani in Sud Sudan tra il 1960 e il 2007 da parte della dittatura militare-islamista di Khartoum*. Ci si può infatti chiedere perché la Siria venga messa al bando delle nazioni con il pretesto che sarebbe una dittatura, mentre l’Arabia Saudita e il Pakistan sono considerati “normali”. Semplicemente perché le armi nucleari del Pakistan potrebbe essere diretto contro l’India, alleato della Russia? Semplicemente perché le dittature wahhabite del Golfo Persico sono appassionate alleate degli USA, e da molto tempo? Queste monarchie sono ormai centri dell’Islam radicale e totalitario, che minaccia sia la Siria che il Caucaso, che vari quartieri sensibili delle capitali occidentali.

Il nuovo grande gioco orientale sta probabilmente bruciando le dita di chi pensava che gli stati arabi fossero pedine utilizzabili per raggiungere degli obiettivi geostrategici. Tunisia, Egitto e Libia sono ora sotto il controllo politico dei Fratelli musulmani, a cui lo sceicco Youssef al-Qaradawi chiede di indire la guerra santa contro la Russia. Anche in Marocco è primo ministro un Fratello musulmano. Questi paesi vogliono che i loro salafiti e takfiristi più radicali combattano all’estero, in Siria o in Mali. Il mondo sciita (Iran-Siria-Hezbollah-Iraq) è ora sotto la tremenda  ressione dell’asse radicale sunnita, l’asse che ha preso il potere ovunque la primavera araba abbia avuto successo, e che gode del sostegno delle democrazie occidentali. Conseguenza ultima di queste eruzioni, il Libano è ora sul punto di esplodere e la Giordania è sotto pressione.

Tuttavia non sorprende se il ministro degli esteri russo, all’inizio di questo mese, aveva ribadito che “gli europei non sanno nulla del Medio Oriente (…) e potrebbero destabilizzare l’intera regione, a cominciare da Libano e Giordania.” la Russia, anche se minacciata dalla nebulosa islamico-takfirista, non perde la bussola e ancora  logicamente difende i regimi nazionalisti e/o secolari della regione. La Russia ha ottenuto la giusta ricompensa per una politica estera equilibrata verso il mondo musulmano, grazie alla firma di contratti per la vendita di armamenti del valore di oltre 4 miliardi di dollari con l’Iraq. Mentre la guerra in Siria è forse al suo inizio, e mentre un candidato alla Casa Bianca ha descritto la Russia come il principale nemico degli USA(!) e al-Qaida invoca ufficialmente la guerra contro la Siria Bashar al-Assad, i politici europei dovrebbero chiedersi se la loro “collaborazione” con i nemici della libertà e della democrazia non possa ritorcerglisi contro e contro
la loro gente molto più velocemente di quanto pensano.

profilo demografico del mese di giugno 2012 in Russia

Il tema della crisi demografica in Russia è in procinto di passare di moda. Curiosamente, in effetti, ci sono molti meno articoli sulla crisi  demografica russa.  Solo uno o due anni fa, molti esperti prevedevano un collasso totale della popolazione russa, essendo il paese minacciato da una crisi demografica senza precedenti. La Russia, si leggeva, era inoltre una società “troppo chiusa e conservatrice, di accettare una vera politica di immigrazione” e l’inerzia dei fenomeni demografici era presumibilmente così inesorabile che “non poteva sperare di invertire la tendenza.” Spesso, queste stime demografiche sono totalmente irrazionali ed emotive, basate su dati assolutamente avulsi dalla la struttura
sociologica della popolazione, dai cambiamenti demografici brutali, essi stessi legati a brutali cambiamenti socio-politici.

E ‘vero che il paese ha attraversato una crisi demografica senza precedenti. Il 1991 è stato l’ultimo anno con un saldo naturale positivo (escluso l’immigrazione) determinato da 1,794,626 di nascite e da 1,690,657 di decessi, con un incremento di popolazione di 103,969 abitanti. Poi la popolazione cominciò a diminuire, nonostante l’enorme flusso di entrate/uscite che ha accompagnato la ricomposizione geopolitica e umana post-sovietica. Se si considerano solo i cali annuali della popolazione naturale (nascite – decessi), la Federazione russa ha perso 11,236,989 persone nel periodo dal 1991 al 2005. Naturalmente, a causa del grande flusso di immigrazione (il ritorno di milioni di russi dalle repubbliche sovietiche e la forte immigrazione di persone provenienti dalla CSI) il calo è stato mitigato e la popolazione della Federazione Russa è scesa “solo” di 5.280.000 unità nello stesso periodo. Continue reading

Il sistema di sfruttamento occidentale non funziona più

La caduta dell’Unione Sovietica ha portato alla fine del sistema di relazioni internazionali di Jalta e al trionfo dell’egemonia statunitense. La conseguenza è stato il passaggio da un un mondo bipolare a uno unipolare. Tuttavia alcuni analisti parlano di un possibile ritorno a un mondo bipolare. Come considerate tale possibilità? C’è la possibilità che una potenza emergente sfidi l’egemonia degli Stati Uniti?
Il crollo dell’Unione Sovietica ha infatti portato direttamente al dominio statunitense negli affari mondiali. Quando Bush senior ha proclamato il nuovo ordine mondiale dalle sabbie dell’Iraq, molti (nel mondo occidentale) hanno anche pensato che sarebbe stato così per sempre, che la storia delle idee si sarebbe fermata e che il mondo sarebbe perciò sempre rimasto sotto il dominio statunitense. Vediamo oggi che si sbagliavano, e ci sono voluti solo dieci anni affinché la storia si riprendesse i suoi diritti, trascinando gli USA nelle guerre che ne accelerano il declino, mentre paradossalmente avrebbero dovuto stabilirne il dominio. Durante lo stesso decennio, la Russia si è ripresa dalle sue ceneri ed è tornata ad essere una potenza regionale forte. Un potenza che ha delle visioni di dominio in Eurasia, come ha martellato Vladimir Putin durante il suo primo discorso presidenziale del 7 maggio 2012. Si parla molto del confronto Russia /USA dall’inizio di questo secolo, ma questi paesi non saranno probabilmente mai i principali attori chiave del mondo di domani, come gli USA e l’URSS lo furono nel mondo di ieri. E’ logico che oggi la Cina sia puntata dagli strateghi statunitensi come principale avversario, perché è la Cina che rischia di diventare la maggiore potenza mondiale nel corso di questo secolo, sia economicamente, che finanziariamente, per popolazione e forse anche militarmente. E’ la Cina che dovrebbe quindi diventare il più grande concorrente degli USA in declino, e se non si fa nulla, il mondo di domani sarà scandito dalla contrapposizione Cina/USA.

Zbigniew Brzezinski ammette apertamente che gli Stati Uniti stanno perdendo la loro influenza. Qui, è possibile applicare il concetto di “superamento dei limiti (Imperial overstrech)“, introdotto dal famoso storico Paul Kennedy? Forse gli USA  affrontano lo stesso problema dell’URSS? Come valutate lo stato degli USA oggi?
Zbigniew Brzezinski invecchia e probabilmente si rende conto dei suoi errori, notando che le sue prospettive per il mondo futuro sotto il dominio statunitense non sono state pienamente realizzate. Dico “non del tutto” perché oggi il mondo è ancora dominato dall’iper-potenza statunitense. Il dollaro è ancora la valuta dominante nel 2012 e gli USA sono ancora la più grande economia del mondo, anche se la crisi del 2008 sembra aver inferto un colpo quasi fatale a questo dominio finanziario. Sul piano militare, questo predominio sembra finito. L’Iraq e soprattutto l’Afghanistan hanno mostrato i limiti della supremazia militare statunitense. Nessuno più vede gli USA come potenza invulnerabile come un decennio fa. Curiosamente, gli USA, come l’URSS, hanno scelto di morire e di mostrare la loro vulnerabilità al mondo nello stesso luogo: l’Afghanistan. Aggiungo che questa fine dell’impero era stata prevista dal sociologo francese Emmanuel Todd già nel 2002.

La perdita di influenza globale degli Stati Uniti significa né più né meno la fine del mondo unipolare. Ma si pone allora la questione del modello di transizione dei prossimi anni. Da un lato esistono tutti i presupposti per la nascita di un mondo multipolare, dall’altro ci troviamo di fronte al rischio della non-polarità, che significherebbe il caos.
In sostanza nessuno sa quali conseguenze dirette e indirette possa avere il crollo della superpotenza. Non si sa se la transizione post-unilaterale sarà caotica, e ne come questo caos potenziale si manifesterà. Si ci può domandare dei futuri attori più importanti del  “mondo post-dominio statunitense”. Cina e India sono destinate a diventare (in questo ordine) le due potenze dominanti del sud dell’Eurasia e del sud-est asiatico. La Russia diventerà probabilmente la potenza dominante nel Nord ed Ovest dell’Eurasia, ma probabilmente anche un nuovo polo di attrazione
culturale, politico e religioso per le nazioni europee. Vorrei aggiungere che né la Cina né la Russia né l’India hanno e probabilmente non dovrebbero avere ambizioni globali, queste potenze dovrebbero avere forti ambizioni regionali nelle loro rispettive zone di influenza, cioè Eurasia/Asia centrale/Sud-Est asiatico. Ora questa zona è ovviamente un’area strategica geopolitica chiave. Gli interessi regionali russi, indiani, cinesi e statunitensi quindi probabilmente continueranno ancora ad incrociarsi, e ad accentuare il nuovo grande gioco tra queste grandi potenze nel cuore dell’Eurasia. Così è dubbio che la transizione a un mondo multipolare (o almeno a un mondo che non sarà più sotto il controllo statunitense) avvenga in modo non caotico, almeno inizialmente.

Il progetto “contro-egemonico” sviluppato da Cox, delinea l’attuale ordine in base alle relazioni internazionali e mira a sviluppare una guerra contro l’ordine internazionale. Cox, che vuole creare un blocco contro-egemonico, respinge l’egemonia dominante. La base del sistema egemonico dominante è l’ideologia liberale. Quale ideologia a vostro avviso, può sostituirla e unire gli attori politici che non sono d’accordo con il dominio occidentale?
La contrapposizione delle ideologie comuniste e liberali aveva il vantaggio di strutturare il mondo. Dalla vittoria dell’ideologia liberale tramite la vittoria militare e politica della coalizione occidentale, il senso di unità globale è stato più o meno generale, perché “il mondo” pensava che la vittoria sarebbe stata definitiva e che l’ideologia del vincitore avrebbe “funzionato”. Ma tre decenni più tardi (e questo è stato accelerato dalla crisi del 2008) il sistema sembra ora essere danneggiato e probabilmente anche insostenibile, non adatto al mondo. L’ideologia liberale ha accelerato la globalizzazione, ma la globalizzazione ha probabilmente contribuito indirettamente alla distruzione del dominio occidentale e dell’ideologia liberale ad essa legata, che ha messo l’economia al centro della storia umana, così come il marxismo aveva in qualche modo fatto prima. Uno sguardo verso le potenze emergenti dà indubbiamente degli indizi sul prossimo futuro. I nuovi emergenti attori mondiali, (ad esempio i BRICS), sono un gruppo di potenze emergenti che, nonostante le loro importanti differenze culturali, di civiltà, geopolitic e demografiche, hanno anche molti punti comuni. La loro emersione è caratterizzata da un tipo di sviluppo che sfida le raccomandazioni del liberalismo economico. Queste potenze sono caratterizzate da un forte intervento statale. I BRIC sono anche delle società in transizione, dalla tendenza autoritaria (Cina, Russia) o da società conservatrici dominate da caste (India, Brasile). Pertanto non accettano gli standard occidentali sullo Stato di diritto e la democrazia. Le loro politiche estere stanno convergendo per sfidare lo status quo post-Guerra Fredda e il dominio occidentale americano-centrico. I BRICS condividono un valore fondamentale: la sovranità nazionale come elemento strutturale di base del sistema internazionale. Infine, i BRICS hanno dei sistemi concentrati sulle tradizioni sociali, l’identità e la religione. Questi sono probabilmente gli indizi riguardo la costituzione possibile delle ideologie che sostituiranno l’ideologia attualmente dominante.

Se proiettiamo il modello multipolare della mappa economica mondiale, si vedrà la coesistenza di diversi poli, e al tempo stesso l’esistenza di una potenziale nuova matrice economica, allontanantesi dal discorso capitalista occidentale. Pensate che il concetto di “autarchia dei grandi spazi” sia applicabile?
Credo che dovremmo differenziare la fine del mondo unipolare, e il suo corollario corrente, la fine del mondo occidento-centrico, con la globalizzazione che continuerà. Il mondo occidentale crolla per motivi principalmente politici, demografici ed economici, ma anche spirituali.
Il suo “codice” di funzionamento non è chiaramente più funzionale, o adatto al mondo di oggi. La globalizzazione che questo sistema ha contribuito ad accentuare gli sarà stata fatale. Oltre a ciò, la potenza dominante dalla fine della seconda guerra mondiale (USA) non ha più modo di promuovere il suo sistema di valori e di pensiero, o d’imporre il suo sistema di governo militare e, pertanto, guidare il mondo occidentale. Detto questo. anche se il mondo occidentale scomparisse e l’indebolimento degli USA continuasse durante la prima metà di questo secolo, la globalizzazione continuerà sotto altri aspetti, culturali, umani o semplicemente demografici. Un esempio: nel 2030, il mondo avrà forse 8,5 miliardi di persone e tutta la generazione più giovane del pianeta intero saprà leggere e scrivere, cosa che non è mai successo prima. Ci saranno sconvolgimenti umani, probabilmente senza precedenti.
Non credo che l’ideologia anti-occidentale sia un vettore sufficiente per costruire un mondo nuovo. I BRICS probabilmente daranno un’idea di cosa potrebbe essere il mondo di domani, che sarà un mondo di consolidamento delle civiltà e di identità. In realtà un mondo dei grandi spazi autocentrati. La globalizzazione dovrebbe ampliare e anche forzare “il mondo di domani”, entrando in contatto con gli altri. Si può sinceramente dubitare che il mondo diventi improvvisamente più amichevole e senza tensioni. Tutto questo probabilmente avverrà in modo molto caotico, in
un primo momento, poiché non vi sarà più un dominante che più o meno controlli, strutturi o comandi questi flussi.

Pensate che ormai il destino del nuovo ordine mondiale dipenda dalla Russia, che è il cuore dell’Heartland, essenziale per contenere e anche indebolire la visione strategica di dominio globale degli Stati Uniti?
Vedo diverse equazioni correlate insieme, e tutte legate all’Heartland. In primo luogo il controllo globale degli USA e il suo dispositivo mondialista si sono formati tramite la capacità di proiezione, vale a dire, estendere oltre i propri confini la propria forza militare, economica o politica tramite le ONG e le rivoluzioni colorate, per esempio. Questa estensione è stata effettuata attraverso un controllo militare degli oceani senza equivalenti storici, ma anche utilizzando l’Europa occidentale dominata come testa di ponte per attaccare l’Eurasia. Questa battaglia contro l’URSS per il controllo globale divenne (dopo la caduta dell’Unione Sovietica) una battaglia contro la Russia per il controllo dell’Eurasia.
Oggi la capacità di proiezione statunitense è indebolita dalla situazione  finanziaria, sociale, morale e politica del paese. L’espansione della NATO è bloccata, gli strateghi statunitensi prevedevano senza dubbio una Russia agli ordini che sarebbe servita come testa di ponte degli USA per attaccare la Cina in pieno risveglio, ma la ricomposizione russa dal marzo 2000 e lo sviluppo della Cina, ostacolarono tali piani. Questo è il motivo per cui la Russia è di nuovo il nemico principale, in quanto impedisce l’interferenza statunitense in ciò che è noto come Heartland. La Russia è oggi l’equazione chiave per impedire che dal mondo sotto il dominio unilaterale statunitense, si corra il rischio di avere un mondo bilaterale USA/Cina. Paradossalmente, la Russia avrà a che fare con la Cina in un sottile equilibrio di forze, amichevole ma fermo.

Siamo ormai sull’orlo di una transizione dal sistema unipolare a un mondo multipolare, in cui gli attori non sono più le nazioni, ma intere civiltà. Recentemente il professor Aleksandr Dugin ha pubblicato un libro sulla “teoria del mondo multipolare”. Questo libro getta le basi teoriche da cui una nuova fase storica può iniziare, sia nella politica estera degli Stati che nell’economia globale di oggi, ciò implica la transizione ad un modello multipolare. Certo, significa anche l’emergere di un nuovo linguaggio diplomatico. Pensa che il mondo multipolare sia lo stato naturale del mondo e che la transizione al modello multipolare sia inevitabile?
Non credo nel mondo unipolare e mi sembra senza dubbio che un mondo multipolare sia in grado di meglio preservare l’equilibrio complessivo.
Ma è ancora necessario, per questo, che ci siano diversi giocatori di dimensioni e peso più o meno equivalente, e i cui interessi non si  intersechino. Sappiamo molto bene che questo non è il caso. I grandi di oggi e di domani hanno i loro interessi. Non credo in una luna di miele eterna tra i paesi non-occidentali vincitori. In questo senso la Russia potrebbe essere di fronte all’equazione molto  difficile di contenere un’Asia in esplosione, attraverso la Cina, che probabilmente in modo naturale e molto veloce farà sentire la sua influenza nel cortile russo in Asia centrale, e con una coalizione occidentale che ora installa un dispositivo militare sul fianco occidentale russo. Il crollo degli Stati Uniti, a mio parere, rinvia quindi direttamente al ruolo dell’Europa e della Russia nel mondo di domani. Metto insieme questi due blocchi pe luogo perché né la Russia né l’Europa probabilmente hanno i mezzi per farvi fronte; ciascuno di questi due raggruppamenti ha le sue debolezze strategiche e strutturali. L’Europa è attualmente un gigante economico ma un nano politico e spirituale. La situazione è opposta per la Russia, che è un gigante politico e spirituale, ma anche un relativo nano economico, se ci dimentichiamo delle materie prime. La questione del rapporto Europa/Russia è uno dei punti chiave del futuro. Il potenziale politico, economico e militare dell’insieme euro-russo, dall’Atlantico al Pacifico, questo titolo potrebbe fare di questo gruppo uno dei giganti del mondo di domani. Naturalmente si deve dire che l’Europa deve accettare di diventare un insieme eurasiatico, alleandosi con la Russia e tutti i paesi che sceglieranno di allearsi alla Russia nel prossimo futuro. Ho parlato della necessità di avere attori di dimensioni simili. Come francese d’Eurasia, quindi, penso alla creazione di un’asse Parigi-Berlino-Mosca-Astana per questo scopo, poiché il vasto corpo Euro-Eurasiatico sarebbe un potente polo sovrano, indispensabile per contribuire alla pace nel  ontinente, e anche nel mondo.
Traduzione di Alessandro Lattanzio

Manipolazioni delle immagini e guerra mediatica

Molti lettori ricorderanno questa foto che ha fatto il giro dei media (agenzia Ria Novosti l’aveva pubblicato). Si notava (in una marcia dell’opposizione al presidente russo Vladimir Putin del 31/08/2010), una ragazza a terra che urlava, dopo essere stato visibilmente scossa e / o picchiata dalla polizia russa.
Tuttavia, un famoso blogger russo di nome Zyalt era sul posto (si possono vedere i suoi capelli ricci nell’angolo in basso a destra della foto sopra). Davvero non si può sospettare Zyalt di essere affiliato al potere russo o alla sua polizia; qui, tuttavia, ha scritto dopo aver assistito alla scena: “К слову о театре. Эта девушка легла на асфальт и, на радость фотокоррам, начала биться в истерике. В принципе, никто ее не трогал. Зато на фотографиях все будут думать, какие милиционеры жестокие, девушку избили “Traduzione: “Qualche parola sul
teatro, questa ragazza è sdraiata sull’asfalto e, per la gioia delle telecamere presenti, cominciò a diventare isterica. Ma assolutamente nessuno l’ha toccata, nessuno l’ha malmenata, ma fa pensare che un poliziotto l’abbia duramente picchiata“.
Sorprendente? Non più di tanto, dopo tutto. Figuratevi, invece, che è capitata quasi la stessa cosa durante l’evento di Domenica scorsa, quando gli incidenti hanno avuto luogo tra le forze di sicurezza e “manifestanti” che indossano passamontagna, visibilmente per scontrarsi con la polizia e creare scontri.
Questa giovane donna la cui foto ha fatto il giro del mondo. Bendata, lei è presa senza delicatezza da un OMON russo. 

Esempio 1: Questa giovane donna la cui foto ha fatto il giro del mondo. Bendata, lei è presa senza delicatezza da un OMON russo.Questa immagine e molte altre sono state accompagnate da recensioni  terribili sugli arresti arbitrari della polizia russa e la repressione contro manifestanti pacifici. Ancora meglio, è utilizzato come vessillo da un’associazione che organizza da Parigi una manifestazione contro le sedicenti inaudite brutalità della polizia che avrebbero accompagnato l’investitura di Vladimir Putin per il suo terzo mandato, contro dimostranti pacifici”.
Domanda: Perché questa ragazza coperta è stato arrestata?Risposta: perché ha attaccato la polizia con pietre fiondate, come potete vedere dalle foto qui. In definitiva piuttosto banale; nel mondo lanciando pietre contro la polizia durante una manifestazione solitamente si viene fermati.
In questo caso, la polizia russa avrebbe colpito una donna incinta al suolo. Queste immagini hanno secondo il Nouvel Observateur scioccato la blogosfera russa. Sulla famosa blogosfera russa il protagonista che accompagna questo odioso arresto era qui. 
Esempio 2: In questo caso, la polizia russa avrebbe colpito una donna incinta al suolo. Queste immagini hanno secondo il Nouvel Observateur scioccato la blogosfera russa. Sulla famosa blogosfera russa il protagonista che accompagna questo odioso arresto era qui.
Domanda: Perché questa donna incinta era al centro di un evento che degenera e per quale motivo un poliziotto russo l’avrebbe preso a calci nella pancia?
Perché non è una donna incinta. Questo è in realtà un manifestante (uomo) che ha partecipato ai disordini del 6 maggio. 
Risposta: Perché non è una donna incinta. Questo è in realtà un manifestante (uomo) che ha partecipato ai disordini del 6 maggio.
Ecco in video i secondi successivi i colpi del poliziotto ed ecco la nostra cosiddetta donna incinta in foto all’inizio della manifestazione e prima del suo arresto. La presentazione ad opera della stampa è sempre emotiva e falsificata, a fini di disinformazione. Curiosamente, questa offensiva illustrata è stata accompagnata da un mini offensiva politica : l’articolo del Nouvel Observateur circa l’evento di Mosca è un modello nel suo genere. In poche parole, ci sono le parole: De Gaulle – Resistenza – Raymond Aubrac – raid – occupazione tedesca – ore buie – indulgenza Putin, e poi alcuni suggerimenti a  Francois Hollande su quella che dovrebbe essere la sua politica estera. Tutte queste manipolazioni di informazioni, video truccati che scompaiono dopo pochi giorni, gli articoli pieni di esagerazioni dei grandi media mainstream sono inutili: ci sono fortunatamente sempre più blogger testimoni oculari sul campo in grado di fornire le immagini e il ripristino di un po’ di verità.
Ma torniamo alla realtà: durante questo evento, ci furono 30 feriti tra le forze di sicurezza. Organi di sicurezza hanno parlato di “provocazioni progettate ed organizzate” sul modello delle tecniche utilizzate dagli anarchici / autonomi durante gli eventi esplosivi che hanno accompagnato i vertici economici degli ultimi anni; ricordiamo di Genova nel 2001 per esempio. Fonte: qui e la. Questi metodi sono noti: sfondamento del  cordone di polizia, poi lancio di esplosivi (bombe incendiarie, le bombe molotov), uso di barriere di sicurezza, e pennoni per attaccare e colpire la polizia, spray di gas o pepe nascosto in lattine di coca cola, birra o kvas e infine lancio di pietre (come la nostra giovane e bella bruna), pietre portate per l’occasione, ovviamente a scopi maligni.

Ad esempio qui l’uso di barriere da parte dei manifestanti o ancora qualche esagitato in procinto di attaccare la polizia. Lo sfondamento dei manifestanti (attraverso la linea di polizia) viene filmato qui. Si può vedere da questo video che gli arresti dei leader Boris Nemtsov e Sergei Oudaltsov, sono avvenuti senza violenza quando sono partiti gli scontri intorno. Infine, questo video di sintesi (quasi 40 minuti) mostra gli attacchi dei manifestanti contro la polizia.Nessun media straniero ha pubblicato una foto di un poliziotto senza casco, senza guanti, senza parastinchi con la testa sanguinava.
Nessun media stranieri ha pubblicato una foto di un poliziotto senza casco, senza guanti, senza parastinchi e la testa sanguinava. 
Nessun media stranieri ha pubblicato una foto di un poliziotto senza casco, senza guanti, senza parastinchi e la testa sanguinava.
In effetti, tra 15 e 20.000 persone hanno marciato, vale a dire, molto meno che nella riunione di febbraio (video di confronto qui). Tra le migliaia di manifestanti, centinaia di attivisti hanno deliberatamente provocato la polizia, cercando l’incidente in presenza di telecamere estere o russe. Nessun media stranieri ha pubblicato una foto di un poliziotto senza casco, senza guanti, senza parastinchi e la testa  sanguinava. Conoscendo lo stipendio di un poliziotto di Mosca e confrontandolo con il reddito di manifestanti con Ipad (i Ipadshikis), si può solo sentire un po’ compassione.
In marzo, ho posto due domande: Michael Prokhorov può unire l’opposizione intorno a lui? Forse che la frangia più radicale e impolitica di così disparata opposizione, non cercherà di creare disordini nelle strade, rifiutando di riconoscere le elezioni presidenziali che nessuno al mondo non contesta già più?Questo è chiaramente quello che è successo, Michael Prokhorov si è espressamente dissociato dagli eventi, essendo i metodi violenti contro la polizia improduttivi, a suo avviso. Mentre le grandi manifestazioni dello scorso inverno erano passati senza problemi, è emerso ora uno zoccolo duro di manifestanti violenti.

Per i lettori che si preoccupano per la sorte dei manifestanti arestati, questo articolo di RFI (dove il video sul presunto stato di gravidanza della donna è già stato rimosso) mostra bene l’atmosfera nei furgoni della polizia. I leader dell’opposizione posano per le foto tranquillamente e continuano a Twittare su internet …Incredibile, non è vero?
Les chefs de l’opposition posent calmement pour les photos et continuent à Twitter sur Internet… Étonnant non ?Les chefs de l’opposition posent calmement pour les photos et continuent à Twitter sur Internet… Étonnant non ?

Putin fino al 2018

Il 4 marzo 2012 il popolo russo ha votato. E, non dispiaccia a taluni, ha votato in maniera massiccia affinché Vladimir Putin diriga la Russia fino al 2018. Dopo lo spoglio  del 99,3% delle schede, Vladimir Putin è in testa col 63,6% dei suffragi, seguito da Gennadij Zjuganov (17,19%) e da Mikhail Prokhorov (7,98%). Vladimir Zhirinovskij ottiene il 6,22% e Sergej Mironov il 3,85%. Il tasso di partecipazione si è attestato sul 65%. Il risultato di queste elezioni è semplicemente una conferma di quello che tutti gli analisti lucidi e onesti avevano previsto, cioè che Vladimir Putin avrebbe ottenuto fra il 50% e il 65% al primo turno. Tutti i sondaggi lo davano vincitore al primo turno. Questo voto è anche un evento geopolitico di una portata che ancora senza dubbio sfugge alla grande maggioranza dei commentatori. L’elezione di Vladimir Putin per un terzo mandato si inscrive in una sequenza storica russa perfettamente coerente.

Nel marzo 2000, quando Vladimir Putin è eletto con poco più del 50% dei voti, il paese è devastato da un decennio postsovietico “eltziniano” ed esce da una grande crisi economica. Putin si manifesta ben presto come un uomo energico e il suo stile secco ed autoritario è positivamente apprezzato dalla popolazione russa. Fin dall’inizio degli anni 2000, Putin appare come una sorta di salvatore che restaura l’ordine pubblico. La sua seconda elezione nel 2004, con circa il 70% dei voti al primo turno, è un plebiscito. Il secondo mandato di Putin è il periodo di un’incontestabile rinascita economica.

Allorché nel 2008 egli cede il posto a Dmitrij Medvedev, l’autorità dello Stato è totalmente ristabilita ed è stato creato un partito di governo. In piena ripresa economica, nel marzo 2008 Dmitrij Medvedev è eletto presidente col 72% dei voti. Disgraziatamente, la Russia è colpita dalla crisi finanziaria mondiale e da una nuova guerra nel Caucaso. Nel 2009 il presidente Medvedev soffre delle conseguenze sociali della crisi e delle difficoltà di modernizzare il paese con l’auspicata rapidità. Anche la pressione internazionale diventa più forte e nell’ultimo anno del suo mandato la diplomazia russa è sconfitta  in Libia e in Europa (scudo antimissile), sicché la politica estera di Medvedev è oggetto di critiche da parte dei Russi.

Dopo le elezioni parlamentari dell’ultimo decennio, nelle grandi città del paese hanno luogo manifestazioni di oppositori, le quali inducono certi commentatori stranieri a pensare che la Russia cominci a ribellarsi contro il “sistema Putin”. Altri, invece, vedono in queste manifestazioni l’embrione di una destabilizzazione orchestrata dall’esterno, secondo il copione delle “rivoluzioni colorate”. Parecchi indizi inducono a ritenere che questo scenario sia verosimile. Paradossalmente, è stato questo rischio di “rivoluzione colorata” ad unire l’opinione pubblica ed a contribuire grandemente al successo di   Putin. L’analista Jean-Robert Raviot ha definito questo fenomeno distinguendo tre Russie. La prima, la più mediatizzata perché occidentalizzata, è quella dei “moscoborghesi”, i borghesi metropolitani  che i commentatori hanno battezzato come “classe media”. Poi c’è la  Russia provinciale e periurbana, di gran lunga maggioritaria; animata da sentimenti patriottici, indebolita dalla crisi, essa costituisce lo zoccolo duro favorevole a Putin. Infine, la Russia delle periferie non russe, controllata da etnocrazie alleate del Cremlino, dove i risultati elettorali, alquanto omogenei, sono a favore del potere centrale.

In effetti, Mosca e San Pietroburgo sono le sole città in cui i risultati, presi isolatamente, avrebbero potuto dar luogo ad un secondo turno fra Putin e Prokhorov. Ma se questa Russia ricca, urbanizzata e occidentalizzata delle grandi città ha votato per Putin meno che il resto del paese, essa rimane tuttavia minoritaria. Invece la Russia delle città piccole e medie e delle campagne è molto più conservatrice e popolare. Votando massicciamente per Vladimir Putin, essa ha mostrato la propria inquietudine nei confronti di possibili torbidi. Dall’inizi o degli anni 2000, la Russia prosegue nel proprio raddrizzamento e i disordini del primo decennio seguito alla scomparsa dell’URSS hanno profondamente segnato gli spiriti. Così il popolo russo ha fatto blocco dietro Vladimir Putin, respingendo ogni ingerenza esterna ed auspicando la prosecuzione della politica inaugurata dodici anni fa.

Lo stabile livello dei consensi ottenuti da Gennadij Zjuganov, il candidato del partito comunista, mostra che il partito ha fatto il pieno e che il 4% o il 5% dei suoi elettori dell’ultimo dicembre (il partito comunista aveva raggiunto il 19% alle legislative, avvantaggiandosi del suo statuto di principale concorrente di Putin) stavolta si è spostato su Mikhail Prokhorov. Indubbiamente quest’ultimo ha canalizzato la maggioranza dei voti degli oppositori che hanno manifestato nell’ultimo mese. Egli raccoglie infatti il 20% a Mosca e il 15,5% a San Pietroburgo. Lo scarso bottino di Vladimir Zhirinovskij è senz’altro da mettere in rapporto con l’elevata percentuale dei voti di Putin, poiché  molti elettori del suo partito hanno votato per Putin al primo turno. E’ difficile immaginare che il partito di Zhirinovskij possa sopravvivere senza la presenza carismatica del suo capo. Infine, la cocente sconfitta del candidato Mironov (3,46%), il cui partito aveva ottenuto un numero elevato di voti alle legislative, mostra che gli elettori russi rifiutano i candidati troppo socialdemocratici.

Era scontato che molti commentatori stranieri (per negare un sostegno popolare che non possono né ammettere né comprendere) scrivessero che le elezioni sono state truccate e che sono state riscontrate numerose frodi in favore di Vladimir Putin. In ogni caso, come per le legislative, la stragrande maggioranza di queste accuse di frode si rivelerà infondata. Il numero dei reali casi di frode non dovrebbe superare i 300, contro i 437 delle legislative di dicembre.

Gli osservatori della Comunità degli Stati Indipendenti e dell’Organizzazione di Shanghai, nonché gli osservatori indipendenti, hanno dichiarato che lo scrutinio si è svolto normalmente e che l’elezione è stata conforme ai canoni; hanno anche proposto di instaurare il sistema di vigilanza voluto da Putin (96.000 seggi  elettorali filmati da 91.000 telecamere) per le elezioni del Parlamento europeo. A questo proposito: se Mikhail Prokhorov è risultato primo in Francia e in Inghilterra, i Russi di Germania e di Spagna hanno votato per Putin in maniera maggioritaria.

Che cosa succederà adesso? L’opposizione ha annunciato che continuerà  a manifestare, come d’altronde ha già fatto all’indomani dei risultati
elettorali. Ma la manifestazione ha radunato solo 10.000 persone e il clima sembra già cambiato. Nel corso della manifestazione Mikhail  rokhorov e Boris Nemtzov sono stati coperti di fischi, mentre Aleksej Navalny e Sergej Udaltzov (nazional-liberale il primo, di estrema sinistra il secondo, ma alleati contro Putin) sono stati oggetto di un’ovazione. Al termine della manifestazione, rifiutando di abbandonare il luogo ed esortando ad occupare la piazza, hanno provocato l’intervento della polizia contro i 300 o 400 irriducibili che li accompagnavano, per la gioia dei giornalisti stranieri. Più tardi, un centinaio di ultranazionalisti ha cercato di marciare sul Cremlino, provocando un analogo intervento della polizia. Ci si può dunquedomandare se l’opposizione legale non si sia cristallizzata intorno a Mikhail Prokhorov e se la frangia più radicale ed antipolitica  di questa variegata opposizione non cercherà di provocare disordini, rifiutando di riconoscere un’elezione che nel mondo non è più contestata da nessuno.

Battaglia per Mosca

Il XX secolo ha visto la sostituzione dell’egemonia inglese con quella statunitense. Questa sostituzione di una potenza marittima con un’altra non ha cambiato le due necessità ineludibili della talassocrazia anglosassone: in primo luogo il controllo dei mari, ma anche l’obbligo di intervenire nel centro geoeconomico del mondo. Questo secondo obiettivo è inscritto nella dottrina geopolitica anglosassone, che definisce i rapporti tra potenze mondiali come una concorrenza tra le potenze definibili come marittime (Inghilterra, USA) e quelle definibili come continentali (Germania, Russia, Cina). Questa teoria appartiene ad uno dei padri della geopolitica moderna, Halford Mackinder (1861-1947), che ha definito l’esistenza di un “perno del mondo” (Heartland) situato in Eurasia, in una zona che si estende sull’attuale Siberia, sull’Asia centrale e sul Caucaso. Mackinder temeva che questa zona del mondo si organizzasse e diventasse completamente sovrana, escludendo così l’America dalla gestione degli affari del mondo. Secondo Mackinder il più grande pericolo sarebbe stato un’alleanza dei due principali imperi continentali: la Germania e la Russia. Egli fa dunque appello alla costituzione di un fronte di Stati capace d’impedire la nascita di una tale coalizione. Dopo il 1945, l’URSS è stata vista, per le sue dimensioni e la sua influenza, come la principale potenza in grado di unificare questo Heartland. Essa è dunque diventata l’avversario principale dell’America. Una seconda teoria geopolitica, sviluppata da Nicholas Spykman (1893-1943), considera che la zona essenziale non sia tanto lo Heartland, quanto la regione intermedia fra quest’ultimo ed i mari circostanti. Questa seconda teoria, che va a completare la prima, proponeva di impedire alla potenza principale (l’URSS di ieri e la Russia dal 1991) di avere accesso ai mari. Anche per conseguire questo obiettivo bisogna costituire un fronte di Stati, ma al fine di creare e controllare una zona tampone tra l’URSS e i mari vicini (Mare del Nord, Mar Caspio, Mar Nero, Mar Mediterraneo).

Per la storica Natalia Narochnitskaja, questa volontà di arginamento è sempre attuale. Si tratta soprattutto di tener lontana la Russia dal settore nord dell’ellissi energetica mondiale, zona che comprende la penisola araba, l’Iraq, l’Iran, il Golfo persico, il Caucaso settentrionale (Caucaso russo) e l’Afghanistan. In concreto, si tratta di impedire l’accesso agli stretti, ai mari, agli oceani, nonché alle zone delle grandi risorse energetiche, dunque di respingere la Russia verso il nord e verso l’est, lontano dal Mediterraneo, dal Mar Nero e dal Mar Caspio. Questa spinta si esercita dunque su un primo fronte, che va dai Balcani all’Ucraina, per il controllo dell’Egeo, del Mar Nero e del Mar Caspio, e su un secondo fronte, che va dall’Egitto all’Afghanistan, per il controllo del Mar Rosso, del Golfo Persico e del Mar Caspio.

            Il controllo statunitense sulla nuova Europa
Alla fine della seconda guerra mondiale, l’America e l’URSS si affrontano: è la “guerra fredda”, in un mondo definibile come “bipolare”. Questa guerra fredda terminerà con l’affondamento dell’URSS nel 1991. Il mondo successivo al 1991 sarà unipolare e americocentrico: il nuovo ordine mondiale del presidente Bush senior prende forma nel 1991, sulle sabbie dell’Iraq. All’epoca, molti pensano che nulla più cambierà, si parla della fine delle ideologie, addirittura della fine della storia, con un’America che regnerà per sempre sul pianeta. Durante la guerra fredda, l’unione europea viene costruita su fondamenta transatlantiche, poiché sono stati gli USA, col Piano Marshall, ad “aiutare” l’Europa in rovina a ricostruirsi, prima di controllare la sua trasformazione in Unione Europea. Ambrose Evans-Pritchard, giornalista britannico del “DailyTelegraph”, dopo lo studio dei documenti resi pubblici dagli Archivi nazionali degli USA (1) spiegherà il ruolo dei servizi segreti statunitensi
nella campagna in favore d’un’Europa unita negli anni Cinquanta e Sessanta. Questi documenti mostrano che lo strumento principale di Washington nell’applicazione di questo piano per il continente fu il Comitato Statunitense per un’Europa Unita (American Commitee for a United Europe – ACUE), creato nel 1948. Donovan, che allora si presentava come un avvocato di diritto privato, ne era il presidente. Il vicepresidente era Allen Dulles, direttore della CIA negli anni Cinquanta. Il consiglio d’amministrazione dell’ACUE comprendeva Walter Bedell Smith, che era stato il primo direttore della CIA, e tutta una serie di personalità dell’OSS e di funzionari che andavano e venivano dalla CIA. I documenti rivelano inoltre che l’ACUE finanziò il Movimento Europeo, la più  importante organizzazione federalista europea negli anni del dopoguerra. Anche il Dipartimento di Stato svolse il suo ruolo, poiché una nota della direzione Europa, datata 11 giugno 1965, consiglia al vicepresidente della Comunità Economica Europea, Robert Marjolin, di perseguire la costruzione di un’unione monetaria europea. Essa raccomanda di impedire ogni dibattito finché l’adozione di tali misure non diventi praticamente inevitabile. Infine i documenti confermano che gli USA operavano molto attivamente dietro le quinte per portare la Gran Bretagna ad integrare l’organizzazione europea. Ciò consente di comprendere meglio la guerriglia condotta dagli USA dal 1961 al 1969 contro il generale De Gaulle, quando quest’ultimo impediva l’ingresso dell’Inghilterra nella nascente Unione europea. Questa integrazione transatlantica ed occidentale si traduce in una solidarietà antisovietica durante la guerra fredda. A poco a poco, l’estensione della NATO diventa una sorta di complemento naturale dell’integrazione di nuovi Stati nell’Unione europea. Così la NATO impedisce ogni sovranità militare in Europa, mentre l’organizzazione sovranazionale europea è sprovvista di ogni sovranità politica. Questa estensione della NATO verso est, nel momento in cui il Patto di Varsavia non esiste più, ha un disegno geopolitico ben preciso: usare l’Europa come testa di ponte per aiutare la penetrazione statunitense nel continente eurasiatico e   respingere più ad est l’influenza russa.
La logica geopolitica è evidente: conservare il controllo del continente ed un’Europa incomp eta, onde evitare che l’Europa unificata diventi un gigantesco polo politico-economico, concorrente degli USA.

            Anni duemila: il dato nuovo
 L’elezione di Vladimir Putin (che per l’analista Aymeric Chauprade è un grande evento geopolitico) e la rapida rinascita della Rus accompagnato da una pressione mantenuta sull’Est europeo e sul Caucaso. Vari Stati hanno costituito, negli anni 2000, l’obiettivo di eventi politici simili: le “rivoluzioni colorate”. Esse hanno coinvolto soprattutto degli Stati i cui regimi non erano particolarmente ostili a Mosca, né specificamente filoccidentali (2). La grande stampa occidentale ha spesso presentato questi eventi come sollevazioni spontanee e democratiche. Oggi sappiamo che le “rivoluzioni colorate” sono state in realtà colpi di Stato “democratici” (3), sponsorizzati e coorganizzati dall’esterno per il tramite di numerose ONG, la cui lista è consultabile qui (4). Si è parlato di “orangismo” (in relazione con la “rivoluzione arancione” in Ucraina) per qualificare questa corrente geopolitica occidentalista. La “rivoluzione” in Ucraina ha potuto beneficiare anch’essa del sostegno finanziario di donatori inaspettati, come l’oligarca liberale in esilio Boris Berezovskij (5), per il quale la “rivoluzione” era diretta in primo luogo contro la Russia.

            Un obiettivo geopolitico: il frazionamento della Russia
Nel settembre 1997 uno dei più influenti politologi statunitensi, Zbigniew Brzezinski, pubblicò un articolo sulla geopolitica dell’Eurasia spiegando che il mantenimento dell’egemonia statunitense passava attraverso una divisione della Russia in tre Stati distinti, che si sarebbero poi raggruppati sotto la denominazione di “Confederazione Russa”; nel libro La grande scacchiera egli affermava che in tal modo la Russia sarebbe meno propensa a nutrire ambizioni imperiali e non sarebbe in grado di impedire il controllo dell’Eurasia da parte degli USA. Questa idea di smembrare la Russia in più Stati è vecchia. All’epoca del “grande gioco” nel XIX secolo, durante la lotta che contrapponeva gl’imperi russo e britannico in Asia centrale e nel Caucaso, l’Inghilterra aveva ben compreso l’importanza – e, per essa, la minaccia – delle recenti conquiste russe, fatte a spese dell’Impero ottomano, che aprivano alla Russia un accesso al Mediterraneo ed al Mar Nero. Dal 1835 l’Inghilterra cercò dunque di destabilizzare la Russia, in particolare inviando armi nel Caucaso e creando comitati ceceni o circassi all’epoca del Congresso di Parigi del 1856, dopo la guerra di Crimea. Questo fronte caucasico resterà, nel corso dei secoli XX e XXI, una sorta di ventre molle, attraverso il quale  l’Inghilterra e poi gli USA tenteranno di destabilizzare la Russia. Agl’inizi del XX secolo, infatti, alcuni responsabili delle repubbliche musulmane di Russia, soprattutto nel Caucaso e nell’Asia centrale, cercarono di organizzare la lotta per la loro indipendenza col sostegno dell’Occidente: fu la nascita del Prometeismo (6), un movimento che per tutto il secolo lottò per ridestare le identità e incoraggiare diversi separatismi, al fine di indebolire la Russia. Dopo la disgregazione dell’URSS e la scomparsa del Patto di Varsavia, una parte delle élites russe aveva ingenuamente pensato che la guerra fredda fosse finita e che la NATO non avrebbe più cercato di ingrandirsi. Il sostegno di Vladimir Putin a George Bush nel 2001 avrebbe potuto segnare l’inizio di una collaborazione nell’emisfero settentrionale, nel quadro di un’alleanza estesa da Vancouver a Vladivostok. A tale scopo venne pure creato nel 2002 un consiglio Russia-NATO (7). Ma, contrariamente alle promesse fatte alla parte russa, l’espansione della NATO verso est è continuata, in una logica post guerra fredda; ci sono state le “rivoluzioni colorate” e le intenzioni degli USA nel Caucaso e nell’Asia centrale non sono affatto chiare. Oggi l’accerchiamento della Russia prosegue con l’installazione dello scudo antimissilistico alle frontiere del paese (8). Le idee di Mackinder, di Spykman e di Brzezinski forse non sono morte e la Russia è oggi il bersaglio di una pressione “arancione” che mira allo smembramento del paese.

            Una manipolazione “arancione”: il nazionalismo secessionista
I commentatori stranieri spesso fanno fatica ad interpretare e ad ammettere la ricomposizione identitaria e territoriale in corso. La Russia odierna può essere definita uno Stato eurasiatico, multietnico e confessionale. La Russia non è una nazione; secondo Nikolaj Starikov (9) essa è “un composto unico di centinaia di popoli, esteso su quasi tutto il continente eurasiatico”. Non c’è una Russia, ma ci sono le Russie, tenute insieme grazie ad un potere politico centrale, che compensa gli effetti d’inerzia determinati dalle dimensioni del territorio, dalla varietà dei popoli che vi abitano e dalle grandi differenze dei modi di vita di questi popoli. Come è stato perfettamente sintetizzato da Natalia  Narochnitskaja: “La Russia vive contemporaneamente nel XIX, nel XX e nel XXI secolo. Essa combina l’opulenza e la miseria; la tecnologia d’avanguardia coesiste con le condizioni di vita più arretrate; sul suo territorio si trovano tutti i climi possibili; vi convivono numerose religioni e civiltà. La coabitazione relativamente armoniosa di tutta questa diversità fa della Russia un caso unico. Comunque sia, qui non abbiamo mai avuto guerre di religione simili a quelle che hanno infuriato in Europa”.
Vi sono tuttavia dei fatti che rivelano il progetto di un’agitazione “arancione” in Russia. Nel 2010 l’incidente della miniera di Rapadskaja fu seguito da una manifestazione violenta, che risultò essere stata organizzata soprattutto col sostegno di siti informatici inglesi (10) ed ucraini (11) che incitavano alla violenza contro lo Stato russo. In seguito a questi avvenimenti, apparve in rete una misteriosa “Unione dei residenti del Kuzbas”, la quale invocava nientemeno che la secessione della Siberia occidentale (12). Per il deputato locale, la pista straniera “arancione” era la più probabile in relazione allo scoppio dei disordini (13). In maniera sorprendente, questi appelli furono ripresi da siti indipendentisti caucasici (14) e difesi dal maggiore Dimovskij, un poliziotto reso celebre dalla grande stampa occidentale per aver denunciato in un video la corruzione in Russia. L’inchiesta aveva permesso di identificare uno dei possibili sostegni (15) di quest’ultimo: il Comitato dei diritti dell’uomo di Novorossisk, una sottofiliale dell’USAID, che è una delle principali ONG attive nel fornire appoggio alle “rivoluzioni colorate”. Dimovskij affermò semplicemente che era pronto a lavorare con “l’Unione dei residenti del Kuzbas”. Ora, siccome questa organizzazione è totalmente virtuale, come si
sono stabiliti i legami tra loro? E perché la stampa liberale ha dato ampio spazio a questi due casi (16)? Ma gli appelli alla “rivoluzione” ed al separatismo non riguardano soltanto comparse virtuali. Nell’estate 2010 un gruppo chiamato “Fratelli della foresta” si diede alla macchia nell’estremo oriente russo, dopo aver preso parte a numerose aggressioni, a devastazioni di commissariati ed anche all’omicidio di un poliziotto. Il gruppo era costituito di nazbol, i militanti anarchici che predicano la “rivoluzione” permanente e si richiamano al capo politico Eduard Limonov, un personaggio controverso della scena intellettuale e politica russa in possesso della doppia cittadinanza francese e russa, il quale fin dall’inizio degli anni 2000 si è schierato con gli oppositori del Cremlino, sostenendo la fazione più liberale e più filoccidentale. Il gruppo (17) denunciava la corruzione del sistema di polizia, ma anche la degenerazione della società. Così questi “rivoluzionari” d’estrema destra ed
anarchici esprimevano a fior di labbra il loro sostegno ai ribelli salafiti e wahhabiti contro l’armata federale russa.

             
Ancora una volta, ritroviamo la retorica secessionista e antifederale al centro delle rivendicazioni. Curiosamente, certe associazioni per i diritti umani hanno denunciato la brutalità poliziesca in occasione dell’intervento contro questi giovani terroristi. È il caso dell’associazione Agora (18), che d’altronde è accusata di finanziare il terrorismo (19) sul territorio della Federazione Russa, nella repubblica musulmana del Tatarstan. Non c’è da stupirsi dunque se questa associazione si trova nell’elenco di quelle che hanno beneficiato delle sovvenzioni (20) del National Endowment for Democracy (21), un organismo finanziato dal Dipartimento di Stato USA che controlla e finanzia a sua volta centinaia di ONG nel mondo.

            L’oppositore Navalny: un progetto statunitense?
Nel 2010 ha fatto la sua apparizione un Dimovskij bis, col sostegno mediatico occidentale. Si tratta del blogger Aleksej Navalny, che si propone come paradigma di virtù denunciando i casi di corruzione politica e di malversazione finanziaria, cause del resto alquanto seducenti. Nel novembre 2010 ha pubblicato delle informazioni su un furto di quattro miliardi di dollari commesso da alcuni funzionari durante la costruzione di un oleodotto nella Siberia orientale, un furto che sarebbe stato concordato ai più alti vertici dello Stato. È stato lui, nel febbraio 2011, a  lanciare la parola d’ordine che qualifica Russia Unita come un partito composto di “truffatori e ladri”; ha anche creato una sorta di Wikileaks russo (Rospil.info). Relativamente popolare in Occidente, Navalny è poco noto in Russia e in fin dei conti poco apprezzato, poiché solo il 6% dei Russi lo conosceva e solo l’1% dei Russi avrebbe fiducia in lui (22). Perché? Innanzitutto perché molti altri blogger hanno, e da tempo, denunciato la corruzione in Russia, come per esempio Ivan Begtin, che ha creato il sito Rosspending. Per molti, l’emergenza mediatica di Navalny, il diretto sostegno che egli ha ottenuto dai media liberali russi (“Vedomosti” o “L’eco di Mosca”) e soprattutto stranieri, i suoi legami con l’ambasciata statunitense o il suo invito negli Stati Uniti – dove ha tenuto una conferenza sulla corruzione (23) davanti a responsabili di ONG “arancioni” (24) – sarebbero segni del fatto che costui è solo una marionetta incaricata di destabilizzare la Russia, una sorta di reincarnazione di Eltsin (25). Recentemente sono state svelate al gran pubblico alcune coversazioni private di Navalny avvenute per via informatica. Ne risulta che dal 2007 costui collabora attivamente con il NED (26), l’ONG “arancione” che finanzia diverse associazioni sovversive (27) per conto del Dipartimento di Stato. Navalny è anche attivamente collegato con Robert Bond, un diplomatico statunitense ben conosciuto in Russia. Fra i donatori e informatori di Navalny figuravano il politologo Stanislav Belkovskij, vicino, in un certo periodo, a Boris Berezovskij ed agli indipendentisti ceceni (28). Come per caso, Navalny si sarebbe recato discretamente (29) a Londra, dove avrebbe incontrato Boris Berezovskij e il suo luogotenente Andrej Sidelnikov, cofondatore del movimento Pora (30), copiato dal Pora che ha organizzato la “rivoluzione arancione” in Ucraina (31). Sidelnikov ha anche organizzato a Londra le manifestazioni  “Strategie31” (32), che riuniscono sia liberali sia nazbol come… Eduard Limonov (33). Ex militante di Jabloko (partito dell’opposizione liberale), Navalny è anche un nazionalista secessionista: ha partecipato alla marcia russa (34) in mezzo a migliaia di radicali d’estrema destra (35) che hanno ripreso le accuse contro Putin e Russia Unita ed hanno invocato la Russia senza Caucaso auspicata da Navalny (36).

            “Smettiamola di sfamare il Caucaso”
La conseguenza di questa pressione secessionista è stata la comparsa di nuovi movimenti politici. È il caso, ad esempio, di un nuovo movimento giovanile che si definisce movimento dei “nazional-democratici”, i naz-dem, denominazione che fa stranamente pensare ai naz-bol, implicati  nelle diverse azioni citate più sopra; ma bisogna ricordare che Aleksej Navalny (37) si definisce egli stesso come “nazional-democratico”, poiché, in quanto membro liberale e filoccidentale di Jabloko, aveva redatto un manifesto nazionalista (38) e si era definito “nazionalista democratico” (39). Egli aveva d’altronde predetto che il cambiamento di potere in Russia non sarebbe passato attraverso le elezioni, ma, né più né meno, attraverso uno scenario di tipo tunisino (40). Questo movimento ha svolto un ruolo importante nelle manifestazioni del dicembre 2011. All’epoca, furono utilizzate delle bandierine con parole d’ordine e messaggi in lingua inglese (41), cosa che fino ad allora era una specialità esclusiva dell’opposizione liberale. Questa tendenza non è rappresentata soltanto da appelli all’indipendenza del Caucaso. Il movimento preconizza anche (42) un più stretto avvicinamento con l’Unione Europea e con la NATO, nonché “l’abbandono di ogni velleità imperialista postsovietica nell’Europa centrale” e, ancora, una revisione dei recenti trattati firmati con la Cina (!) Infine, il movimento è attestato su posizioni ostili al mondo arabo e molto filoisraeliane. 

            “Smettiamola di sfamare Mosca”
 Il Caucaso non è il solo bersaglio dei “secessionisti” finanziati dall’Occidente. Anche in altre parti della Russia hanno avuto luogo manifestazioni secessioniste che esortavano a smetterla di “sfamare Mosca”. In particolare in Siberia, a Novosibirsk, recentemente si sono svolte manifestazioni con parole d’ordine quali: “La Siberia ai Siberiani” (43) o, appunto, “Smettiamola di sfamare Mosca” (44). Le azioni sono state guidate dagli stessi gruppiradicali di destra in collaborazione con una frangia liberale sostenitrice dei diritti umani (45 . Non è stata soltanto la Siberia ad essere interessata, poiché azioni simili hanno avuto luogo nel sud, a Samara sul Volga, o anche a Belgorod. Neanche Mosca è stata risparmiata, perché il 25 ottobre scorso (46) vi si è svolta una manifestazione che ha riunito gli oppositori liberali sotto le parole d’ordine “Smettiamola di sfamare il Caucaso” e “Non paghiamo il tributo a Mosca”. A questa manifestazione si è potuta notare la partecipazione di Vladimir Milov (47), un ex dirigente di Solidarnost che oggi è alla testa del movimento d’opposizione Scelta Democratica (48). Tuttavia, stando ai dati ufficiali, il Caucaso non è affatto la regione più sovvenzionata dalle autorità federali, come è perfettamente dimostrato qui (49). Tutte queste adunate non  mobilitano folle numerose; tuttavia sulla rete c’è una grande agitazione, in vista di future manifestazioni contro la politica di Russia Unita (50). Gli appelli provengono da misteriose organizzazioni, una delle quali ha ripreso il nome di un’organizzazione, dissolta dopo il colpo di Stato del 1991, che coalizzava “socialisti e nazionalisti” contro il Cremlino (51). Un’altra arriva dall’Ucraina (52).

            Verso una rivoluzione delle nevi in Russia?

Ricordiamo i fatti: in seguito alle elezioni del 4 dicembre 2011, che hanno comportato un calo di Russia Unita e un forte guadagno dei partiti nazionalisti o di sinistra, sono state denunciate delle frodi elettorali. Queste frodi avrebbero permesso al partito di governo, che disponde delle risorse amministrative, di falsificare i risultati gonfiando i propri suffragi. Chiunque conosca la Russia contemporanea, questa giovane  democrazia sovrana e guidata, sa che le elezioni sono bene o male rappresentative delle tendenze e delle opinioni popolari, nonostante le numerose irregolarità che accompagnano ogni appuntamento elettorale. In Occidente, pochi si sono lamentati del fatto che il candidato del partito comunista, Gennadij Zjuganov, si sia lasciato rubare la vittoria alle elezioni presidenziali del 1996, a causa di un furto organizzato dai falchi del giro di Eltsin, vale a dire il clan Berezovskij. Esistono studi approfonditi che rivelano irregolarità a vari livell . Tuttavia la corrispondenza delle esplorazioni preelettorali e dei sondaggi d’opinione con gli exit-poll e i risultati finali sembra dimostrare che queste elezioni sono state di gran lunga le più corrette della giovane storia russa (53). Dopo la crisi finanziaria, la situazione è stata relativamente modificata; ma se nessuno in Russia aveva potuto pronosticare una sconfitta di Russia Unita in queste elezioni, molti avevano previsto il forte calo di questo partito e la relativa perdita di voti dei partiti di sinistra come il partito comunista o Russia Giusta.

Al di là dell’Atlantico sono stati messi a punto piani di disordini per colpire la Russia. Molto prima delle elezioni e del loro prevedibile risultato, è stata inventata un’organizzazione chiamata Belaja Lenta; il nome del dominio del relativo sito informatico è stato depositato negli Stati Uniti nel novembre 2011 (54). Questa notizia è molto importante, perché consente di capire la manovra. Non appena sono stati resi noti i risultati delle elezioni e la vittoria di Russia Unita, le proteste sono dilagate sulla rete. Le scene di frodi elettorali diffuse da parecchi blog e reti sociali ricordano l’agitazione informatica delle “rivoluzioni” di Facebook, che nel 2009 hanno colpito la Moldavia e l’Iran e recentemente il mondo arabo. La popolazione che ha manifestato – per lo più giovanile, istruita e di sesso maschile – era convinta che qualcosa le fosse sfuggito.

Incredibilmente significativo: i sondaggi e le inchieste sui manifestanti (55) hanno rivelato che il 40% di loro aveva votato per il partito liberale Jabloko, la cui percentuale finale è stata del 7% a Mosca e del 15% a San Pietroburgo, ma solo del 3% a livello nazionale! La conclusione è semplice: il ceto medio superiore delle grandi città oggi manifesta contro colui grazie al quale si è arricchita in questi ultimi anni. Mentre gli elettori e il popolo chiedono più Stato e più ordine (avanzata dei partiti statalisti di sinistra e dei partiti  nazionalisti), le manifestazioni sono fatte da una iperclasse media urbana che   invece reclama meno Stato e più libertà individuale. In aggiunta a questi  contestatori liberali, un fronte di ultrasinistra e anarchico (rappresentato da Sergej Udaltsov) e un fronte d’estrema destra (rappresentato dal carismatico Aleksej Navalny) sono riusciti a stipulare una provvisoria pax anti-Putin, delimitando i contorni politici di questa opposizione piuttosto eclettica. Un fronte anti-Putin che opera sotto il benevolo ombrello finanziario delle ONG statunitensi attive in Eurasia, alle quali Hillary Clinton ha assicurato che il Congresso aumenterà le sovvenzioni per il 2012, anno delle elezioni presidenziali in Russia.

Sicuramente la grande maggioranza di questi manifestanti non è consapevole di contribuire ad un movimento molto più ampio, destinato a creare disordini ed a far scendere nelle strade quanta più gente possibile, per paralizzare il paese, indebolirlo e quindi accentuare la pressione internazionale. È il modus operandi delle “rivoluzioni colorate”. Una minoranza di attivisti manipola una maggioranza ingenua.
Come diceva il giornalista Maksim Shevcenko (56): “Io non posso accettare le parole d’ordine politiche utilizzate in queste manifestazioni. Esse sono state escogitate da individui moralmente screditati. Aleksej Navalny, per esempio, ha fatto appello alla separazione del Caucaso, usando una parola d’ordine (“Ne ho abbastanza di sfamare il Caucaso!”) la quale mette nello stesso sacco diverse regioni (Daghestan, Cecenia, Ossezia) che non hanno avuto la stessa storia e hanno rapporti diversi col Centro. L’appello alla separazione del Caucaso è una manipolazione della realtà, una provocazione spregevole. Tutti i casi di falsificazione devono essere denunciati alla giustizia o divulgati tramite la rete. Si vorrebbe procedere alla confutazione, ma non si ha voglia di farlo; un giorno, poi, si pensa che le chiacchiere messe in circolazione siano veridiche.
Invece, la realtà è molto più seria. Sulla rete ci sono molte scene di frodi elettorali. Forse è vero, ma forse si tratta di falsificazioni. La veridicità di queste prove potrebbe essere stabilita solo da una perizia indipendente, per esempio una commissione parlamentare con la partecipazione di ambedue le parti. Sarebbe l’unico modo. Ci invitano a fidarci dell’isteria dei troll della rete! Ci crediamo, ma virtualmente, come è virtuale la rete. Detto ciò, credo che per il paese i risultati delle elezioni siano piuttosto positivi. Al livello federale il quadro costituzionale del paese è stato conservato, i voti dei partiti d’opposizione sono aumentati in misura significativa. Ciò significa che in cinque anni, a livello locale, i rapporti di forza saranno seriamente riconsiderati. Vedremo gli altri partiti affrontare Russia Unita. La gente delle manifestazioni vorrebbe creare imbarazzi allo sviluppo del sistema parlamentare e giuridico, solo perché il loro partito – per esempio Jabloko  – non è potuto entrare nella Duma e non è riuscito a far annullare le elezioni. Io non credo a questa musica, non più che a queste manifestazioni. Il paese ha bisogno di unità, bisogna preservarne l’integrità e gl’interessi. Bisogna anche ripulire il paese da tutto il marciume oligarco-liberal-criminal-occidentale, dappertutto, fino all’ultimo villaggio. Il potere deve appartenere al nostro  popolo polietnico e policulturale, e non al lumpen delle città, che campa di denaro e di speculazione”.

Mentre si avvicinano le elezioni del marzo 2012, la battaglia per Mosca è forse già cominciata.

Eurasia sur l’Union Eurasiatique

J’ai le plaisir d’annoncer a mes lecteurs la sortie du dernier numéro de la revue EURASIA sur l’Union Eurasiatique. Votre serviteur y a écrit un article, tout comme de nombreux autres dont vous pouvez trouver la liste ci dessous, parmi les plus connus sans doutes Alexandre Douguine ou encore Guennady Ziouganov!
La version française de l’article est consultable ici, et la version  italienne la.
 

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Geofilosofia dell’Eurasia
Alberto Buela, Propedeutica alla teoria politica
Claudio Mutti, Nietzsche e l’Eurasia

Dossario: Russia
Aleksandr G. Dugin, Nasce l’Unione Eurasiatica
Andrea Fais, Le elezioni parlamentari: una svolta (geo)politica e sociale
Jean Géronimo, Alla ricerca di un’identità postsovietica
Jean Géronimo, Crisi del gas. Torna Brzezinski?
V. V. Ivanter – J. Sapir, L’economia russa nella crisi finanziaria
Alessandro Lattanzio, Le forze strategiche della Russia
Aleksandr Latsa, Battaglia per Mosca
Mahdi Darius Nazemroaya, Verso una nuova realtà geopolitica
Igor N. Panarin, La nuova ideologia di Putin: lo sviluppo della civiltà russa
Spartaco A. Puttini, La Russia di Putin sulla scacchiera
Nikolaj S. Trubeckoj, Il problema dell’autocoscienza russa
Stefano Vernole, Un’alleanza economica sgradita agli USA
Ermanno Visintainer, Nursultan Nazarbayev, antesignano dell’Unione Eurasiatica
Gennadij A. Zjuganov, Le idee geopolitiche in Russia
Gennadij A. Zjuganov, I contorni geopolitici della Russia di domani
Continenti
Miguel A. Barrios, Strategia e geopolitica dell’America Latina (prima parte)
Jean Claude Paye – Tulay Umay, Wikileaks: un’opposizione virtuale
Matteo Pistilli, Il concetto di “sviluppo” dal 1945 ai nostri giorni
Interviste
Aleksandr Sam, I compiti del KGB in Bielorussia. Intervista al gen. Vadim Zaisev
Filippo Pederzini, Una piccola crisi diplomatica. Intervista a Mauro Murgia
Documenti
AA. VV., Il Patto di non aggressione tedesco-sovietico
Sergej N. Martinov, Discorso all’ONU
Jean Thiriart, Praga, l’URSS e l’Europa
Recensioni

C. Mutti, Stephan Baier – Eva Demmerle, Otto d’Asburgo. La biografia autorizzata
C. Mutti, Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, Il golpe inglese
C. Mutti, Pio Filippani Ronconi, Zarathustra e il mazdeismo
C. Mutti, Ermanno Visintainer, Ahmed Yassawi. Sciamano, sufi e letterato kazako
L. L. Rimbotti, Johann von Leers, Contro Spengler

Verso un mondo incerto?

L’articolo originale è stato pubblicato il RIA Novosti 
 *

Il 2011 è appena finito, e per cominciare questa rubrica auguro un felice 2012 ai lettori di RIA Novosti. L’agenzia ha pubblicato le impressioni personali dei commentatori di RIA Novosti e volevo portare il mio modesto contributo su questo argomento. Che dire dell’anno passato e di quello appena iniziato? I presidenti dei due paesi che mi stanno più a cuore, cioè la Russia e la Francia, hanno avuto parole in realtà molto simili, nei loro discorsi di fine anno, definendo il 2011 un anno assai difficile. Il mondo prima della crisi sembra ormai lontano, ma la somiglianza della tonalità dei discorsi presidenziali non dovrebbe oscurare il fatto che le situazioni in Francia e in Russia sono significativamente differenti.

Lecondizioni economiche si stanno deteriorando in Francia, mentre il 2011 èn stato l’anno della crisi per la Russia. Secondo un sondaggio pubblica todal portale interinale Superjob.ru, il 16% dei russi si aspettano cambiamenti positivi per il 2012, l’8% ritiene che il 2012 sarà stabile
in tutte i campi, il 7% prevede un aumento di stipendio e il 6 % ritiene che accadrà qualcosa di speciale il prossimo anno. I pessimisti, che credono che il 2012 sarà caratte rizzato da un peggioramento delle condizioni di vita e dai prezzi alle stelle, sono solo il 9%. Nel complesso, l’indagine mostra così un cauto ottimismo che contrasta con il tradizionale fatalismo russo, che probabilmente  dovuto alla salute economica del paese, relativamente buona, e alle prospettive per il 2012.

L’incertezza economica che colpisce l’area dell’euro può colpire il morale dei cittadini. Il 1 gennaio 2012 ha segnato il 10° anniversario dell’Euro, e come ha sottolineato l’ottimo commentatore Vlad Grinkevitch, “l’area dell’euro attraversa certamente non il suo periodo migliore.” “La crisi del debito che ha colpito Grecia, Portogallo, Italia e Spagna potrebbe degenerare in un grave disastro finanziario e causare una nuova recessione”. Così, l’81% dei francesi pensano che il 2012 sarà un anno difficile. Tuttavia, un’ansia comprensibile mentre la Francia potrebbe dover affrontare, nel 2012, la perdita della sua tripla A, e probabilmente avanzare un po’ di più verso una situazione di recessione economica. Gli irlandesi, gli austriaci e i belgi, sono rispettivamente secondo, terzo e quarto posto nella classifica del pessimismo, dopo i francesi, secondo un sondaggio in 51 paesi. I cittadini più pessimisti si trovano così, chiaramente, nella parte dei paesi ritenuti più ricchi e più sviluppati. Probabilmente perché hanno molto da perdere e le prospettive economiche globali per il 2012, sono particolarmente pessime nella maggior parte dei paesi ricchi dell’OCSE.

Logicamente, i dieci paesi in cui il futuro viene visto più buio, si trovano sul continente europeo. Sei di essi sono anche membri dell’Unione europea. Il primo ministro greco, Lucas Papademos, ha chiesto un ulteriore “sforzo (…) affinché la crisi non porti a una bancarotta disordinata e disastrosa”. Per il presidente francese Nicolas Sarkozy, “il destino della Francia può vacillare” nel 2012. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha avvertito che il 2012 sarebbe “più difficile” rispetto all’anno passato. Mentre il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio
Napolitano, ha chiesto ai suoi concittadini di accettare i sacrificiper evitare “il collasso delle finanze del paese.” In misura minore, il Nord America – Stati Uniti e Canada – si trova anch’essa in questo gruppo di paesi che entrano nel futuro indietreggiando. Tuttavia, quattro paesi dei dieci più ottimisti del mondo, si trovano inAfrica. In testa, la Nigeria, ma anche Ghana, Tunisia e Sud Sudan. In Asia, anche Vietnam e Uzbekistan, affronteranno il 2012 con ottimismo.


Ma non solo per l’economia, il 2012 sarà anche un anno cruciale nella politica, in quanto è un anno di elezioni in tre grandi paesi, come Francia, Stati Uniti e Russia. Sul fronte politico, come sul fronte economico, il futuro prossimo della Russia sembra chiaro: la crescita economica e la continuità del potere politico russo sono praticamente assicurate. Questo è ben lungi dall’essere il caso di Francia e Stati Uniti. Barack Obama e Nicolas Sarkozy portano sulle loro spalle di leader, delle responsabilità molto pesanti per la crisi economica e monetaria che continua a crescere.   Possibile effetto perverso, una vittoria repubblicana negli USA e dei socialisti  in Francia , potrebbe cambiare significativamente i rapporti politici tra le grandi potenze, e creare impulsi politici in nuove direzioni, con conseguenze ad oggi senz’altro imprevedibili.

Mentre guardo le immagini cicliche dei festeggiamenti di Capodanno, riprese da Russia Today, e queste folle che sembrano spensierate, mi chiedo a cosa assomiglierà il mondo che si trova in una fase di riorganizzazione così veloce, il mondo in cui i nostri figli e i nostri nipoti vivranno.

La primavera araba si trasforma in inverno e l’economia dei paesi occidentali entra in un autunno sempre più inquietante. Per alcuni analisti come Olivier Delamarche, il crollo del sistema finanziario potrebbe causare uno o più guerre. Se questo scenario apocalittico viene evitato, i grandi cambiamenti in atto continueranno: il BRIC (Brasile-Russia-India-Cina) avanza dalla crisi del 2008, preparandosi al suo ruolo di futuro gigante economico, e il centro di gravità del mondo continua a muoversi verso l’Asia. La crisi finanziaria ed economica in corso, dovrebbe portare a un indebolimento relativo dell’Occidente, soprattutto al suo modello politico, economico e morale sempre meno credibile. Altrove, altre potenze come Malesia, Messico, Turchia e Iran si preparano a diventare potenze regionali da prendere in considerazione.

Questo “nuovo mondo”, che sarà sicuramente multipolare, dovrebbe vedere l’emergere di nuove potenze e di nuovi modelli politici ed economici. La domanda è se questa transizione sarà pacifica.  futuro che sta emergendo sembra incerto.

Traduzione di Alessandro Lattanzio http://www.statopotenza.eu/

Verso l’Eurasia!

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La settimana scorsa, ho scritto un forum in cui ho sostenuto che l’Europa occidentale farebbe bene a lasciare il girone atlantista per costruire un’alleanza economica e politica con il blocco europeo orientale, creandola intorno all’alleanza doganale Russia/Bielorussia/Kazakistan. Penso che per una Unione Europea indebitata, i crisi di espansione e fortemente dipendente sul piano dell’energia, questo approccio potrebbe fornire nuovi mercati di esportazione, sicurezza energetica, potenziale di crescita economica  importante e anche una nuova visione politica. Dopo la pubblicazione di questo testo, uno dei miei lettori, David, mi aveva inviato il seguente commento: “Non riesco a capire che cosa la vostra unione eurasiatica potrebbe fare con l’Unione Europea (…) Vedi l’Europa arrivare in Kazakistan?” 
La domanda di David è fondamentale, a mio parere. La prima risposta che voglio dargli è questa: l’Europa non è l’Unione europea, il cui ultimo allargamento risale al 2004, e sapendo che nessun ulteriore allargamento  è seriamente preso in considerazione, fino ad oggi. Lo spazio europeo ha 51 Stati e l’Unione europea  ha solo 27 membri. L’UE non è a mio parere, in alcun modo una finalità, ma un passo nella costruzione di una grande Europa continentale, da Lisbona a Vladivostok , una Europa per sua natura eurasiatica, poiché geograficamente presente in Europa e in Asia. 

 
Le discussioni sui limiti dell’allargamento dell’Unione europea hanno portato a delle La settimana scorsa, ho scritto un forum in cui ho sostenuto che l’Europa occidentale farebbe bene a lasciare il girone atlantista per costruire un’alleanza economica e politica con il blocco europeo orientale, creandola intorno all’alleanza doganale Russia/Bielorussia/Kazakistan. Penso che per una Unione Europea indebitata, i crisi di espansione e fortemente dipendente sul piano dell’energia, questo approccio potrebbe fornire nuovi mercati di esportazione, sicurezza energetica, potenziale di crescita economica  importante e anche una nuova visione politica. Dopo la pubblicazione di questo testo, uno dei miei lettori, David, mi aveva inviato il seguente commento: “Non riesco a capire che cosa la vostra unione eurasiatica potrebbe fare con l’Unione Europea (…) Vedi l’Europa arrivare in Kazakistan?” 
La domanda di David è fondamentale, a mio parere. La prima risposta che voglio dargli è questa: l’Europa non è l’Unione europea, il cui ultimo allargamento risale al 2004, e sapendo che nessun ulteriore allargamento  è seriamente preso in considerazione, fino ad oggi. Lo spazio europeo ha 51 Stati e l’Unione europea  ha solo 27 membri. L’UE non è a mio parere, in alcun modo una finalità, ma un passo nella costruzione di una grande Europa continentale, da Lisbona a Vladivostok , una Europa per sua natura eurasiatica, poiché geograficamente presente in Europa e in Asia.

contraddizioni: la Russia non sarebbe l’Europa si può spesso leggere, mentre in genere, gli stessi commentatori, Ucraina, Bielorussia e Turchia dovrebbero al contrario integrarsi all’Europa. Bisognerebbe davvero spiegare perché la Russia non è europea, mentre l’Ucraina, la Bielorussia o la Turchia sì. Oggi, né l’UE a 27, in stato di quasi fallimento, o la Russia da sola, tuttavia, hanno la forza ed i mezzi per far fronte ai giganti come l’America in declino, o i due giganti del  futuro, India e soprattutto Cina, praticamente certa di diventare la prima potenza mondiale in questo secolo. La Russia, come gli Stati europei occidentali, sono ora ognuno impegnato, a sua volta, in una politica di alleanze per rafforzare le loro posizioni regionali e la loro influenza globale.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’estensione verso est dell’Unione europea sembrava inevitabile. Questa estensione, insieme ad una espansione della NATO, è stato fatto in uno spirito di scontro con il mondo post-sovietico. Ma la rinascita della Russia negli ultimi anni e lo shock finanziario del 2008, hanno seriamente cambiato la  situazione. La terribile crisi finanziaria affrontata dall’Unione europea è forse la garanzia più assoluta che l’Unione europea non si espanderà più, lasciando alcuni paesi europei sulla soglia, l’Ucraina in testa. Andrej Fedjashin lo ricordava a pochi giorni fa: “In questo momento di crisi, poche potenze europee pensano alla possibile adesione all’UE di un altro paese povero della periferia orientale (Ucraina …) Per di più, l’estensione a un paese di quasi 46 milioni di persone, che conosce una costante crisi politica ed economica“. Quanto alla Russia, appartenente alla famiglia europea, sarebbe ingenuo pensare che la ricostruzione non passi tramite il massimo consolidamento delle relazioni con gli Stati del vicino estero, vale a dire, dello spazio post-sovietico, nella logica dell’Eurasia.
 
Mentre l’Europa occidentale è attualmente utilizzato come testa di ponte dell’America, che impone un vero e proprio scudo di Damocle con lo scudo missilistico, è tempo di prendere in considerazione una collaborazione tra Europa e spazio post-sovietico, e di concentrarsi su ciò che sta accadendo a est, intorno alla nuova unione doganale guidata dalla Russia. La scorsa settimana è stata ricca di eventi di grande importanza. La recente condanna della musa della rivoluzione arancione a sette anni di prigione, probabilmente ha contribuito ad allontanare l’Ucraina dall’Unione europea e ad avvicinarla un po’ di più all’unione doganale animata dalla Russia. Mentre il presidente russo è stato in Ucraina la scorsa settimana, l’Unione europea ha annullato un incontro con il presidente ucraino, anche se le discussioni sulla creazione di una zona di
libero scambio con l’Ucraina erano in corso. Allo stesso tempo, gli 11 Stati della CSI (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Moldova, Uzbekistan, Russia, Tagikistan, Turkmenistan e quindi l’Ucraina) hanno firmato l’accordo sulla creazione di una zona di libero scambio. Lo stesso giorno, il primo ministro Mykola Azarov ha detto che l’Ucraina sta valutando l’adesione all’Unione doganale Russia-Bielorussia-Kazakistan, non ritenendo una contraddizione la potenziale appartenenza a queste due aree di libero scambio.
 
Più a est, da Mosca è arrivata la grande scossa del Primo Ministro Vladimir Putin, che ha annunciato la plausibile creazione dell’unione  eurasiatica per il 2015. Il Primo Ministro ha ricordato per il resto, che la cooperazione all’interno della Comunità Economica Eurasiatica (CEEA) era la priorità assoluta per la Russia. Questoprogetto di unione eurasiatica si basa sull’Unione doganale in vigore con la Bielorussia e il  Kazakistan, a cui possono unirsi tutti gli Stati membri della Comunità Economica Euroasiatica. Il Kirghizistan (unione doganale) e Armenia
(unione eurasiatica) hanno infatti già dichiarato il loro sostegno ai progetti di integrazione eurasiatica. 
L’organizzazione   attualmente al centro del continente eurasiatico, non è solo economica opolitica, ma è anche militare; nel 2001 con la creazione di una struttura di cooperazione militare eurasiatica: l’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai. Questa organizzazione è composta da sei membri permanenti: Russia,
Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. India, Iran, Mongolia e Pakistan sono membri osservatori, mentre lo Sri Lanka e Bielorussia hanno lo status di partner.  La SCO riunisce così ora 2,7 miliardi di persone.

Quest’anno, l’Afghanistan ha chiesto lo status di osservatore mentre la Turchia (seconda potenza militare della NATO) , ha chiesto di aderire completamente all’organizzazione. Stati arabi come la Siria, l’anno scorso hanno anche espresso il loro interesse per la struttura. Ora possiamo legittimamente chiedere quando è che gli Stati europei decideranno di unirsi alla SCO, per completare questa integrazione continentale.
Questo cambiamento riflette il passaggio globale inevitabile al mondo multipolare, che non sarà più sotto il dominio occidentale. Per gli europei occidentali, è tempo di guardare ad est del loro continente. Il nuovo centro eurasiatico, organizzato intorno alla Russia, è probabilmente il più promettente.
 
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Gli USA all’attacco della Francia?

La Francia non lo sa, ma siamo in guerra con l’America. […] Si, una guerra permanente, una guerra vitale, una guerra economica […] Si, sono molto duri gli americani, sono voraci, essi vogliono il potere senza condividerlo con il mondo… Avete visto, dopo la guerra del Golfo, hanno voluto controllare tutto nella regione del mondo. Non hanno lasciato niente ai loro alleati […] Non bisogna lasciarsi sopraffare, non bisogna lasciarsi impressionare”Citazione di François Mitterand(1), riportato nell’ultimo Mitterand (G.M.Benhamou).

Nell’ottobre 2005 la Francia ha subito violenti disordini urbani. Presentate come rivolte sociali, erano in realtà per lo più giovani di origine non europea, provenienti principalmente dalla periferia delle grandi città. I disordini sono stati innescati ufficialmente dalla morte di due giovanidelinquenti perseguiti dalla polizia e che sono morti folgorati dopo essersi rifugiati in un trasformatore elettrico per evitare un banale controllo d’identità. Il risultato di questi scontri è stato pesante : in 3 settimane ci sono stati 3 morti, 3000 arresti, 10000 auto bruciate e saccheggiati decine di edifici pubblici, comprese le scuole, palestre, magazzini, negozi o chiese. Questi disordini si sono rapidamente trasformati in rivolte d’identità tra i giovani francesi di origine arabo-africana e lo Stato francese. Al culmine delle violenze, quasi11000 poliziotti sono stati mobilitati per contenere gli agitatori. Lostato d’emergenza è stato dichiarato anche in un punto. Il costo di questi disordini è stimato a quasi 200 milioni di euro. E stata lapeggiore violenza urbana che la Francia ha conosciuto dal 1968.

Nel 2009, un giornalista e romanziere tedesco, Udo Ulfkotte, ha pubblicato un libro piuttosto sorprendente intitolato  Der Krieg im Dunkeln: Die wahre Macht der Geheimdienste ( la guerra nell’oscurità : il potere dei segreti)(2) nel quale ha sviluppato una tesi secondo la quale queste rivolte non erano totalmente spontanee ma erano state organizzate, e gestita da agitatori professionisti. Nel suo libro, il giornalista ha assimilato quest’agitazione rivoluzionaria ad una variante di rivoluzione colorata, ma al cuore della Francia del 2005. Senza sapere se questa teoria era giusta o giustificata, è da confrontare con una delle conseguenze più inaspettate di questi disordini, l’interesse crescente e affermato degli Stati Uniti a questi giovani provenienti da famiglie di immigrati, francesi e pertanto in rivolta contro lo Stato francese.

I volti del sistema americano
 Si tratta di un’espressione datata al 25 gennaio 2007 (3)pubblicata da Wikileaks che sembra rivelare l’affare. L’ambasciata americana dichiara di sviluppare una politica di sostegno e di sviluppo alle comunità afro-arabe della Francia mirando chiaramente i giovani musulmani francesi. I primi obiettivi di questa politica furono fissati nel 2000 , dopo l’11 settembre. Dei diplomatici americani affermano in effetti che
l’evoluzione demografica della Francia è tale che numerosi francesi di origine afro-araba faranno parte dei dirigenti francesi del domani. Dopo l’11 settembre e la guerra in Iraq, sembrava di vitale importanza al dipartimento di stato tentare di migliorare l’immagine dell’America agli occhi dei musulmani d’Europa. Molteplici personaggi sono protagonisti di questo modello americano in Francia.

Nel 2009, Barack Obama nomina Charles Rivkin(4) come ambasciatore degli Stati Uniti in Francia. Dopo una carriera nel settore dello spettacolo e della pubblicità, è stato uno dei più importanti promotori finanziari(5) per la campagna di Barack Obama. Dal settembre 2009 il segnale è dato, l’ambasciatore Rivkin e sua moglie sono gli ospiti d’onore del sindaco di Villiers-le-bel per l’inaugurazione del primo murale realizzato nel quadro di un programma di scambi artistici ed educativi franco-americano concernente l’arte cittadina. Villiers le bel
non è una città come le altre, è da là che sono cominciate le proteste del 2005. Nel novembre dello stesso anno, l’ambasciata degli Stati Uniti d’America invita 24 liceali francesi a diventare ambasciatori della loro cultura negli Stati Uniti. Il programma “Giovani Ambasciatori” realizzato per il secondo anno consecutivo in Francia, permette agli studenti in condizioni modeste di trascorrere 15 giorni negli Stati Uniti, accompagnati e circondati, come vedremo.

Nel mese di marzo ed aprile 2010, una trentina di giovani provenienti dall’immigrazione vengono mandati negli USA tramite il programma giovanile del Dipartimento di Stato: visitatori internazionali(6). Tra i molti leaders di associazioni di giovani, i rapper o i giovani sono coinvolti nel settore del volontariato in particolare all’interno di comunità di immigrati o di origine immigrata. Il 2 aprile 2010 Charles Rivkin si trasferisce a Bondy (una delle cittàconla più alta concentrazionedi immigratinella periferia parigina) all’incontro dei giovani. Ha detto: “ Da
me è diverso. Tu puoi essere africano, indiano ma sei prima di tutto americano. […] Amo parlare con tutti i francesi. So, e sono sicuro, che il prossimo leader francese è in periferia”
. Prima di partire chiede ai giovani: “ Se aveste degli artisti americani che vorreste incontrare, chi sarebbe?”.

Promessa mantenuta il 13 aprile 2010 l’ambasciatore è di ritorno a Bondy, accompagnato dall’attore nero americano Samuel L. Jackson e da sua moglie all’incontro dei giovani. L’attore ha dichiarato:
“Voi siete il futuro, questa è la vostra occasione, costruitevi una rete, […] dite che non è normale quando non vedete allo schermo gente come me”.

Il 24 giugno 2010 l’ambasciata degli Stati Uniti ha organizzato un forum intitolato Creare Oggi con dei giovani imprenditori americani e francesi. A pranzo nel giardino della Residenza, gli invitati hanno potuto assistere ad esposizioni d’arte o ancora ascoltare l’ultima canzone “Vida Loca”(7) del gruppo rap francese Kommando Toxik de Villiers-le-Bel. Il 29 giugno 2010 l’ambasciatore americano inaugura il primo Campus parigino di Hip Hop a La Villette. Egli assiste alla prima tavola rotonda sul tema Francia vs USA : una nuova scuola per il successo! Il 5 agosto 2010 sono Sylvester Stallone, Jason Statham e Dolph Lundgren che visitarono (con la delegazione dell’ambasciata americana) la città di Rosny-sous-Bois anche nota per la sua elevata popolazione di origine immigrata, i suoi problemi sociali e le sue rivolte frequenti. Sylvester Stallone dichiarerà dopo l’incontro : « è stato formidabile incontrare la gente di Rosny-sous-Bois, gente vera ». Nel luglio 2010 per sostenere queste attività, Mark Taplin fu nominato n.2 dell’ambasciata degli Stati Uniti in Francia. Diplomatico di carriera, Taplin è uno specialista in diplomazia pubblica. Prima della sua nomina, è stato vice addetto culturale nel 1984-1987 e vice segretario di stampa nel 1994 all’ambasciata americana a Mosca. Dal 1999 al 2001 è stato Consigliere per gli Affari pubblici dell’ambasciata americana a Kiev, in Ucraina. Dal 2002 al 2004, M. Taplin è stato Direttoredell’Ufficio Affari di Ucraina, Moldavia e Biellorussia al dipartimento di Stato americano. Egli ha contribuito a sviluppare la politica degli Stati Uniti in Ucraina nella prospettiva delle elezioni presidenziali in Ucraina del 2004. Ha d’altra parte lasciato il suo posto durante l’estate 2004(8). La « rivoluzione arancione » cominciò il 21 novembre dello stesso anno. Dal 2005 al 2008 ha ricoperto l’incarico di vice capo
missione presso l’ambasciata degli Stati Uniti a Bucarest in Romania.

Taplin e Rivkin non sono i soli nello sviluppo di questa strategia di seduzione nei confronti delle minoranze in Francia. Tutte queste operazioni di seduzione (che alcuni potrebbero qualificare di manipolazione) sono ugualmente organizzate da Laura Berg(9), addetta culturale dell’ambasciata, ma sopratutto da una francese, Randiane Peccoud(10), che sovrintende, da una decina di anni, le operazioni americane verso la comunità musulmana. Particolarmente discreta, questa donna di 53 anni, ufficialmente « responsabile per la società civile » all’ambasciata
americana a Parigi non è quasi mai menzionata. France-soir (come Ali Soumarè è stata « trattata » dall’ambasciata americana il 6 agosto 2010) aveva sollevato il velo su di lei rivelando che disponeva del « miglior libretto di indirizzi francesi della diversità con tutti i contatti : leaders d’opinione, politiche ed associative ». Sicuramente le ingerenze americane di ogni tipo in Francia non sono un fatto nuovo. Sydney Hooks, uno dei leader del Congresso per la lbertà della cultura(11), un ampio programma finanziato dalla CIA durante la guerra fredda, già nel 1941 ha dichiarato:  « ri-educare, ri-informare l’opinione pubblica francese sembra essere il compito più fondamentale così come il più urgente per la politica democratica americana in Francia ». Sydney Hooks, ovviamente, pensava al pubblico francese nel suo insieme. Ciò che è nuovo, è vedere raggiungere questa porzione particolare di popolazione francese.

La strategia decifrata
Nel gennaio 2010, l’ambasciata americana a Parigi scrive un messaggio(12) in cui l’ambasciatore Charles Rivkin spiega le attività americane verso le minoranze. Il messaggio è diviso in 10 punti che sono rispettivamente una spiegazione della crisi della rappresentazione in Francia, la necessità per gli americani di sviluppare una strategia per la Francia di impegnarsi in un discorso positivo, a proporre un esempio forte, lanciare un programma aggressivo di mobilitazione della gioventù, la promozione delle voci moderate, la diffusione delle migliori pratiche, l’approfondimento della comprensione del problema e infine lo scopo degli sforzi. Non farò che una breve sintesi dei diversi punti qui di seguito :

(Sintesi)« Considerando le circostanze e la storia unica della Francia, l’ambasciata di Parigi ha creato una Strategia d’impegno per le minoranze che riguarda, tra gli altri gruppi, i musulmani francesi e che risponde agli obiettivi definiti nel reftel A (referenza telegramma A). Il nostro obiettivo è quello di mobilitare la popolazione francese a tutti i livelli al fine di ampliare gli sforzi della Francia per realizzare i suoi ideali egualitari, ciò che in futuro farà progredire gli interessi nazionali americani. Mentre la Francia è giustamente orgogliosa del suo ruolo motore nello sviluppo di ideali democratici e nella promozione dei diritti dell’uomo e dello stato di diritto, le istituzioni francesi non si sono mostrati flessibili per adattarsi ad una demografia sempre più eterodossa. »
( Premessa: la crisi della rappresentanza in Francia )
«
La Francia per molto tempo ha promosso i diritti dell’uomo e lo stato di diritto, sia in patria sia all’estero, e si vede, giustamente. come un leader storico tra le nazioni democratiche. Questa storia e questa percezione di sè ci servono sopratutto per mettere in opera la strategia esposta qui e che consiste nel fare pressione alla Francia al fine che essa si orienti verso un’applicazione più completa dei valori democratici che essa promette. »
« I media francesi rimangono in gran parte bianco, con solo un modesto miglioramento della rappresentanza della minoranza di fronte alle telecamere dei principali telegiornali. Tra le istituzioni scolastiche delle élite francesi, non conosciamo che Scienze Politiche, che ha compiuto passi importanti verso l’integrazione. Mentre c’è un leggero miglioramento della loro rappresentazione nelle organizzazioni private, le minoranza in Francia sono al capo di pochissime imprese e fondazioni.
Così la realtà della vita pubblica francese si oppone agli ideali egualitari della nazione. Le istituzioni pubbliche francesi sono definite più da gruppi di addetti e classe politica, mentre l’estrema destra e le misure xenofobe non fanno un interesse se non per una piccola minoranza (ma di tanto in tanto influente). »
« Noi crediamo che la Francia non abbia profittato completamente dell’energia, del dinamismo e delle idee delle sue minoranze.  Nonostantealcunerichiestefrancesidi essere un modelloper l’assimilazionee lameritocrazia, le disuguaglianze innegabilioffuscanol’immagine complessivadella Franciae indebolisconola sua influenzaall’estero. A nostro avviso, l’incapacità di sviluppare opportunità sostenibili e
fornire una reale rappresentanza politica per la sua popolazione minoritaria potrebbe rendere la Francia un paese più debole e più diviso. Le conseguenze geopolitiche della debolezza e divisione della Francia colpiranno negativamente gli interessi americani, nella misura in cui abbiamo bisogno di partners forti nel cuore dell’Europa per aiutarci a promuovere i valori democratici.
»
(Una strategia per la Francia : i nostri obiettivi)

« L’obiettivo fondamentale della nostra strategia di sensibilizzazione verso le minoranze è quello di mobilitare la popolazione francese a tutti i livelli al fine di aiutarli a realizzare i suoi propri obiettivi di uguaglianza. La nostra strategia si concentra su tre principali gruppi target : 1 la maggioranza e specialmente le élites ; 2 le minoranze con un’attenzione particolare per i leaders ; 3 la popolazione in generale. tilizzando le sette tattiche di seguito noi miriamo 1 ad accrescere la coscienza delle élites di Francia per proporre dei benefici per aumentare le opportunità e dei costi per mantenere lo status quo ; 2 migliorare le competenze e sviluppare la fiducia dei leaders della minoranza che cercano di aumentare la loro influenza ; 3 comunicare alla popolazione generale francese la nostra ammirazione particolare per la diversità e il dinamismo della sua gente, insistendo sui vantaggi che si possono beneficiare dalle sue qualità aprendo le opportunità a tutti. »
(Impegnarsi in un discorso positivo)

« Per prima cosa concentreremo il nostro discorso sulle pari opportunità. Quando faremo dichiarazioni pubbliche riguardanti la comunità delle democrazie, insisteremo sulle qualità della democrazia, come il diritto alla diversità, la protezione dei diritti delle minoranze, il valore delle pari opportunità e l’importanza di un’autentica rappresentazione politica .»

« Cercheremo di fornire informazioni sui costi legati ad una sotto rappresentazione delle minoranze in Francia, sottolineando i benefici che abbiamo accumulato nel tempo lavorando duramente per rimuovere le barriere incontrate dalle minoranze americane. »
« Inoltre, continueremo ed intensificheremo il nostro lavoro con i musei francesi e gli insegnanti per riformare i programmi di storia insegnati nelle scuole francesi, in modo da tener conto del ruolo e punti di vista delle minoranze nella storia della Francia. »
(Evidenziare un esempio forte)

« Faremo un esempio. Continueremo ed allargheremo i nostri sforzi per far venire in Francia dei leaders delle minoranze degli Stati Uniti,  lavorando con questi leaders americani per comunicare un giudizio onesto della loro esperienza agli stessi leaders francesi seguiti dalle minoranze e no. Quando invieremo dei leaders francesi in America, includeremo, anche piuttosto possibile, un elemento del loro soggiorno che riguarderà le pari opportunità. All’ambasciata continueremo ad invitare ai nostri eventi un largo spettro della società francese ed eviteremo così di organizzare degli eventi in cui non ci sarebbero che dei bianchi o delle minoranze. »

« In terzo luogo, perseguiremo ed espanderemo i nostri sforzi di sensibilizzazione della gioventù al fine di comunicare i nostri valori comuni con il giovane pubblico francese di qualunque sia l’origine socio culturale. Lo scopo è quello di creare un dinamismo positivo tra la gioventù francese che mira ad un sostegno più grande per gli obiettivi ed i valori degli Stati Uniti. »
« Al fine di realizzare questi obiettivi, ci appoggeremo sugli ambiziosi programmi di Diplomazia Pubblica già in atto e svilupperemo dei mezzi creativi e complementari per influenzare la gioventù francese impiegando i nuovi media, dei partenariati privati, dei concorsi sul piano nazionale, degli eventi di sensibilizzazione mirati, tra cui gli ospiti americani padroni di casa. (…) Svilupperemo anche dei nuovi strumenti per identificare i nuovi leaders francesi, apprendere da loro ed influenzarli. Nella misura in cui sviluppiamo le opportunità di formazione e di scambio per i giovani francesi, continueremo ad assicurarci di modo assolutamente certo che gli scambi che sosteniamo siano inclusivi. Ci appoggeremo alle reti della gioventù esistenti in Francia e ne creeremo dei nuovi nello spazio cyber legandone tra loro i futuri leaders di Francia al seno di un forum in cui aiuteremo a formare i valori, dei valori di inclusione, di reciproco rispetto e di dialogo aperto. »

(Per incoraggiare le voci moderate)
« Come quarto punto, incoraggeremo le voci moderate della tolleranza ad esprimersi con coraggio e convinzione. Premendo la nostra azione su due siti internet molto diffusi tra i giovani musulmani francofoni– oumma.fr e saphirnews.com – sosterremo, formeremo e mobiliteremo le militanze mediatiche e politiche che dividono i nostri valori. »

« Condivideremo in Francia – con le comunità religiose e con il ministero dell’interno – le tecniche più efficaci per insegnare la tolleranza attualmente in uso nelle moschee degli Stati Uniti, sinagoghe, chiese e altre istituzioni religiose. Siamo direttamente coinvolti col ministero dell’interno per confrontare l’approccio francese ed americano a sostegno di esponenti delle minoranze che promuovono la moderazione e la comprensione reciproca, confrontando le nostre risposte a quelle di coloro che cercano di seminare l’odio e la discordia. »

(Approfondire la comprensione del problema)
« Guardando in profondità gli sviluppi importanti, come il dibattito sull’identità nazionale, abbiamo in programma di monitorare le tendenze e, idealmente, di prevedere i cambiamenti riguardo la condizione delle minoranze in Francia, valutando in che modo questo cambiamento colpirà gli interessiamericani. »

(Integrare, identificare e valutare i nostri sforzi)
« Infine un gruppo di lavoro sulle minoranze integrerà discorsi, azioni ed analisi delle sezioni e delle agenzie dell’ambasciata. Questo gruppo
identificherà e controllerà i leaders e i gruppi influenti al seno del nostro pubblico principale. »

« Valuterà inoltre il nostro impatto nel corso di un anno esaminando degli indicatori di successo sia materiali che immateriali. I cambiamenti materiali includono un aumento misurabile del numero di dirigenti delle minoranze o membri di organizzazioni pubbliche o private e comprese quelle al seno degli istituti di insegnamento dell’élite ; un numero crescente di sforzi costruttivi dai leaders di minoranze per ottenere un sostegno politico e alla volta all’interno e al di fuori delle loro proprie comunità minoritarie ; un riflusso di sostegno popolare per i
partiti e programmi politici xenofobi. Poichè non potremo mai rivendicare il merito per tali sviluppi positivi, concentreremo i nostri sforzi sulle attività sopra descritte che incoraggiano, spingono e stimolano il movimento nella giusta direzione. »

Priorità ai musulmani ?
La novità di questa politica di seduzone è che si concentra sulle comunità etnico-religiose in Francia. Il progetto consiste nel dire ai francesi che possono riuscire a valorizzare le minoranze come è stato fatto negli Stati Uniti. Questa politica richiede pertanto una élite diplomatica e siti internet della comunità immigrata in Francia. Sono citati due siti principali che sono i siti oumma(13) e saphir(14) che si sono impegnati in una sorta di coming out a proposito delle loro relazioni con l’ambasciata degli Stati Uniti in Francia :
  1. Oumma.com(15):
    « Abbiamo rapporti cordiali in realtà con il personale dell’ambasciata e questo contatto privilegiato ci ha permesso, per esempio, di ottenere un’intervista esclusiva con Farah Pandith, membro dell’amministrazione Obama. »
  2. Saphirnews(16) : « Dei legami sono stati in effetti creati da molto tempo tra gli ufficiali americani in Francia e Saphirnews, che è stata condotta, per esempio, ad incontrare la porta voce del Congresso americano, Lynne Weil, nel dicembre 2008, per discutere dello stato della società francese. » 

Il 2 dicembre, il console americano Mark Shapiro ha fondato un’associazione, nominata Confluenze, destinata a promuovere le minoranze e particolarmente la minoranza musulmana. Questo progetto è il risultato di una condivisione tra la regione Rhone-Alpes ed il dipartimento di stato americano, l’equivalente del nostro ministero di affari esteri. Secondo i messaggi diplomatici rivelati da Wikileaks, gli americani credono in effetti che la discriminazione dei musulmani possa suscitare ripetute crisi e possa fare della Francia un “paese debole” ed un alleato “meno capace”. L’associazione Confluenze ha per obiettivo di creare, animare e gestire a Lyon, un centro dedicato alla diversità e alla lotta contro le discriminazioni. L’addetto culturale del consolato americano a Lyon siede del resto al consiglio di amministrazione dell’associazione.

Nel dicembre 2010 è apparso negli Stati Uniti un nuovo fumetto di super eroi chiamato Nightrunner(17). Si tratta in realtà di Billi Asseiah, un islamista sunnita algerino di 22 anni immigrato in Francia (dovrebbe rappresentare la Francia) e residente a Clichy sous-Bois. Incarnante i valori di giustizia, onore e diritto, soccorre la vedova e l’orfano secondo un proverbio. Difende anche e sopratutto gli interessi della sua comunità (i musulmani) ingiustamente attaccati. Un elemento ancora più inquietante che il primo episodio della BD si svolge durante le rivolte di periferia del 2005 in Francia. Accompagnato da un amico, Bilal, allora sedicenne, è ingiustamente attaccato dalla polizia, picchiato anche se non aveva fatto nulla di male. Poi il suo amico è stato abbattuto dopo aver incendiato una stazione di polizia. Bilal diventa allora Nightrunner per ristabilire il giusto ordine e la democrazia. I creatori sono stati probabilmente ispirati dal progetto « Manga per promuovere l’alleanza militare USA-Giappone» (18)  destinata al giovane pubblico giapponese al fine di convincerlo dell’interesse dell’alleanza militare tra gli Stati Uniti e il Giappone, compreso il mantenimento della base americana d’Okinawa, sempre più contestata dalla popolazione.

Le personalità coinvolte
Le personalità coinvolte sono anche emblematiche. Si possono citare tra i più pubblicizzati :

  • Rokhaya
    Diallo, una giovane militante associata francese di origine  senegalese che è portante per la televisione e la radio. Quest’ultima, femminista convinta, integra l’organizzazione dell’estrema sinistra Attac, prima di impegnarsi attivamente nel femminismo e nel settore del volontariato attraverso varie associazioni come Mix-città e gli indivisibili. Nel mese di marzo 2010, è stata selezionata per partecipare al programma Visitor Leadership internazionale : invitata dal governo federale degli Stati Uniti, visita il paese per studiare la
    diversità. Nel settembre 2010 è stata invitata al 40esimo Congresso Black Caucus, evento annuale che riunisce i parlamentari afro-americani degli Stati Uniti.
     
  • Reda Didi è un altro di quei francesi di origine immigrata corteggiato dagli Stati Uniti. L’ ex capo del movimento socialista ecologico francese « i verdi » ha anche fatto un viaggio negli Stati Uniti, accompagnato da 8 persone selezionate nel quadro del programma « Semi di Francia ». Semi di Francia ha come obiettivo di coinvolgere i cittadini nella vita politica creando dei nodi di militanti attivi, recrutati nelle popolazioni d’origine immigrata, se possibile. Will Burn, direttore della campagna di Obama per le sue elezioni al senato americano nel 2000 è anche quello che integra il consiglio di amministrazione del loro club di riflessione. 
  • Ali Soumaré è il più conosciuto in Francia. Candidato PS alle elezioni regionali, come responsabile associativo, molto attivo in campo durante le rivolte a Villiers-le-Bel, è conosciuto negli Stati Uniti da più di due anni come « giovane leader dei quartieri di immigrati ». E’ stato ricevuto più volte all’ambasciata americana di Parigi ed ha partecipato a dei gruppi di lavoro sul modo di condurre una campagna elettorale. E stato anche consultato su diversi punti di attualità come l’integrazione. Ogni volta, gli viene srotolato il tappeto rosso. « Il mio partito, il PS non ha mai mostrato la metà degli interessi che gli americani mi hanno dato », racconta. « Con una certa umiltà, tentano veramente di comprendere le nostre problematiche. E eccitante ed estremamente lusinghiero. » 
  • Almamy Kanouté, attivista e capo di una lista indipendente a Fresnes, è rientrato il 6 maggio scorso,un viaggio di tre settimane negli Stati Uniti. Nome del programma « Gestire la diversità etnica ».  «  E’ stato intenso, abbiamo seguito gli incontri, le visite, racconta, conquistato. Ne ho concluso che se gli americani non sono necessariamente riusciti al meglio nell’integrazione delle popolazioni di origine straniera rispetto i francesi, essi vi dedicano più risorse e più impegno. Lì mi sono sentito compreso : qui ho incaricato una comunità estremista. Loro almeno non mi giudicano. » 
  • Said Hammouche, 37 anni, ha ugualmente partecipato al programma dei Visitatori Internazionali. E nato a Parigi e cresciuto a Bondy, in Sein-Saint Denis. Fondatore dell’ufficio di recrutamento Mozaik RH, che mira a favorire la diversità nell’impresa, è partito alla fine del 2008 negli Stati Uniti con il programma di scambio :  « Per loro (gli americani), questi viaggi servono per rompere le nostre idee sbagliate sul loro paese. Non siamo ingannati dal loro approccio, sappiamo che possono essere manipolati, ma oggi capisco meglio il desiderio di creare, intraprendere e far avanzare gli americani. E qualcosa di molto forte che mal conoscevo prima. »

Ma i soggiorni di qualche leaders identificato non sono tutto. Nel novembre 2010, in occasione del primo grande forum dell’impiego lanciato dall’associazione « I nostri quartieri hanno dei talenti », l’ambasciata americana ha partecipato all’organizzazione di un incontro con dei patroni di grosse società all’hotel Newport Bay Club a Disneyland Paris. Questa struttura di aiuto all’inserimento per i giovani delle minoranze esiste dal 2005 ed è stata creata dal Medef (Sindacato patronale francese) di Sein-Saint Denis, il dipartimento a più forte densità etnica e religiosa straniera di Francia. Il forum ha riunito quasi 5000 giovani. L’associazione « I nostri quartieri hanno dei talenti » ha cominciato ad operare nel dicembre 2009. Si augura di moltiplicare per dieci il numero dei giovani seguiti e la rete di padrini al 2015, senza dubbio col sostegno discreto dell’ambasciata americana.
Conseguenza inattesa : la distruzione della storia francese

Inoltre e secondo Wikileaks, nel testo inviato nel gennaio 2010(19) dall’ambasciatore Rivkin, si può leggere :  « Di più, continueremo erafforzeremo il nostro lavoro con i musei francesi e gli insegnanti per riformare il programma di storia insegnato nelle scuole francesi, perchè essi prendano in conto il ruolo e le prospettive delle minoranze nella storia della Francia ». Nove mesi più tardi, nel settembre 2010, è stata votata una legge che riduceva al minimo la parte dei manuali di storia consacrati a dei personaggi storici (Francesco I, Enrico IV, Luigi XIV e Napoleone) o a certi momenti della storia francese, in alcune classi, al profitto di culture straniere, precisamente gli africani.

Questa decisione ufficiale è stata presa in Francia, nel 2010, nel nome dell’  « apertura alle altre civiltà del nostro mondo ». Lo stesso, lo studio della rivoluzione e l’impero sono sacrificati per poter meglio studiarele grandi correnti di scambio commerciali al 18esimo e 19esimo secolo comprendenti la tratta dei negri e la schiavitù. Nel nuovo programma delle classi del quarto : 4 ore di corso sono dedicate alla tratta dei
negri mentre tutta la storia della rivoluzione e dell’impero è fatta in meno di 8 ore. Altro esempio edificante, Luigi XIV che costituiva un lungo periodo del primo trimestre del quarto è sostituito da un tema chiamato : « l’emergenza del re assoluto ». Il re sole è ormai rinviato al quinto alla fine dell’anno, anno al termine del quale si sarà lungamente attardati sulle civilizzazioni africane di Monomotapa e Songhai e sulla tratta orientale. In realtà , Francesco I, Enrico IV, Luigi XIV e Napoleone I sono relegati in ciò che i nuovi programmi scolastici qualificano « elementi di comprensione contestuale » e non faranno dunque oggetto di capitoli di studio a parte intera nei programmi dell’educazione nazionale francese.
Conclusione
 Quale conclusione bisogna trarre da questa attività diretta verso le minoranze e dei programmi a favore delle periferie e dei francesi di origine straniera che costano ogni anno tre milioni di dollari all’ambasciata degli Stati Uniti ?Anzitutto gli americani sono in un sistema imperialista di promozione del loro modello di società e di protezione dei loro interessi futuri in Francia, e la politica di detenzione e di promozione delle minoranze non è evidentemente un’azione umanitaria denudata di intenzioni mascherate. Questi programmi americani in favore delle minoranze si sviluppano in un contesto economico mediocre che rende difficile l’integrazione di nuovi immigrati in Francia. Esso mira sopratutto a migliorare l’immagine degli Stati Uniti presso i giovani musulmani di Francia, seguite alle  guerre in Iraq e in Afganistan, su pretesto di promuovere la diversità, il rispetto delle differenze culturali e la riuscita per tutti.

Ma queste strategie di reti e di influenza presentano un reale pericolo per la Francia. L’integrazione ottenuta di numerose correnti di immigrazione che il nostro paese ha conosciuto nel passato si è sempre realizzato senza alcuna rivendicazione etnico-religiosa ma ben da un processo complesso di totale assimilazione. La volontà americana di scommettere su delle élites etniche e religiose è fondata sulla riproduzione di un modello americano comunitarista totalmente contrario al modello francese d’integrazione, che è repubblicano, egualitario e non discriminatorio. Le difficoltà che la Francia incontra attualmente con le sue minoranze sono legate allo sviluppo eccessivo della comunitarizzazione che essa sia identitaria, sociale ed etnico religiosa. Sul territorio si sono sviluppate delle sotto culture trasversali, indipendenti infatti ostili all’identità francese. Per la Francia, paese cristiano ed europeo in cui l’avvenire è in europa, questa attività d’ingerenza è estremamente negativa. Crescendo i sentimenti comunitaristi e rivendicativi di minoranza etniche e religiose a riguardo dello stato francese, gli americani corrono il rischio di creare delle tensioni che potrebbero portare ad un punto di non ritorno. Inoltre, questa aggressione in regola contro il modello assimilazionista scelto dalla Francia potrebbe avere delle conseguenze esplosive, mentre si dice che le rivendicazioni etno-religiose si aggiungono a delle rivendicazioni regionaliste già sotto giacenti. Ci si può interrogare sulle intenzioni americane in questo dominio. Espandere il loro modello di società ?

Indebolire la coesione delle società mirate per evitare la formazi n  in Europa di un polo economico-militare indipendente e concorrenti degli USA ? Non dimentichiamo di fare un parallelo con l’ossessione degli americani a fare entrare la Turchia nell’Unione Europea, ma anche ad impedire ogni ravvicinamento con la Russia.