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Il fronte arancio-bruno

L’institut Eurasia-Riviesta avec lequel je collabore, et duquel je conseille la lecture très régulière à mes lecteurs à traduit mon texte sur le front Orange-brun, je le reproduis ci dessous.

Lo scorso mese la stampa russa ha documentato un certo numero di avvenimenti più o meno gravi che sembrava a prima vista non avessero alcuna relazione tra loro. Esaminando più da vicino questi avvenimenti, salta all’occhio un certo numero di elementi, che lasciano pensare che non si tratti solamente di fatti diversi, ma proprio di si manifestazioni con un’origine in comune.

Da Krasnodar alla Siberia occidentale
Il 9 maggio 2010 un’esplosione di gas ha troncato la vita a 90 minatori nella miniera di Rapadskaia. Tre giorni dopo si è tenuta nella piccola cittadina di Mejdouretchensk una manifestazione pacifica di 1.500 persone, i cui manifestanti richiedevano salari più adeguati e una inchiesta imparziale sui tragici incidenti. A sera, alcuni giovani autonomi hanno bloccato le ferrovie e hanno affrontato violentemente le forze dell’ordine. Queste violenze inaspettate e imprevedibili sono state opera di teppisti e criminali conosciuti nella regione, e tra i 28 manifestanti interpellati, non uno era un minatore. Nei luoghi degli incidenti e sul percorso della manifestazione che è degenerata, sono stati trovati sandwich, birre e striscioni, il che prova il livello minimo di preparazione di questa manifestazione parallela. Oltretutto nello stesso momento sono stati lanciati su numerosi siti stranieri, in particolare britannici, tedeschi o ancora su quello di un movimento anarchico ucraino, appelli alla violenza che sostenevano tra gli altri l’opposizione bielorussa e che richiamavano (ecco perché l’Ucraina) alla violenza contro lo stato russo. È stupefacente che un piccolo movimento anarchico ucraino si prenda cura di manifestazioni nel profondo della Siberia russa. In seguito a questi accadimenti, sui social network e su internet sono apparse associazioni misteriose e false sotto il nome di “unione dei residenti di Kouzbass”, che facevano appello tra le altre cose allasecessione della Siberia, e questi appelli furono subito ripresi dai siti indipendentisti caucasici e dal giornale d’opposizione Novaya Gazeta.

Ancora più stupefacente, nel 2009 c’è stato in Russia il caso Dimovsky. Questo ufficiale di polizia è stato presentato come un eroe dal main-stream mediatico occidentale per aver denunciato nell’autunno 2009 la corruzione regnante in seno allo stato e alle forze di polizia russe. Il poliziotto poteva permettersi guardie del corpo e automobili private, conferenze stampa e biglietti aerei. È stato sospettato, da Sergueï Kucheruk (capo della polizia della regione di Krasnodar), di essere un agente dei servizi occidentali e in particolare, tramite il comitato dei diritti umani di Novorossisk, una sotto-filiale dell’USAID, una delle teste di ponte del dispositivo arancione in Eurasia. Costui ha semplicemente affermato che “l’unione dei residenti di Kouzbass” era reale e che egli era pronto a lavorare per quest’ultima. Tuttavia questa organizzazione è virtuale. Come si sono stabiliti i legami tra di loro? Per il deputato Serguey Shatirov, queste manifestazioni sul terreno o su internet sono legate, organizzate dall’interno e hanno visibilmente un fondamento “arancione”.

Rivolta in estremo oriente?
Durante l’estate 2010, un gruppo chamato “fratelli della foresta” si è dato alla macchia nell’estremo oriente russo, dopo aver dichiarato guerra allo stato. Il gruppo, composto di skinhead, oltre che da “nazbols” (militanti rosso-bruni) opera nella regione ed è stato protagonista di numerose aggressioni, di omicidi, incendi, irruzioni in commissariati e dell’omicidio di un miliziano.

Il nome scelto da questa organizzazione, fratelli della foresta o Fratelli della foresta, è il nome dato in precedenza ai gruppi di ex collaboratori lasciati dietro di sé dai nazisti nei paesi baltici e in Ucraina dopo l’avanzata delle truppe sovietiche nel 1944. La rivolta dei fratelli della foresta è terminata dopo l’assalto delle forze speciali che ha portato alla cattura di quattro membri e alla morte dei restanti. Il gruppo intendeva denunciare la corruzione del sistema di polizia (alcuni membri erano stati vittime di torture) ma ugualmente la decadenza della società, considerato che nel loro ultimo video pubblicato su internet prima della loro morte, essi denunciano principalmente: “la corruzione, il consumo di droghe e la difficoltà di trovare ragazze ancora vergini a 15 anni”. Cosa senza dubbio più sorprendente di ogni altra, il loro odio verso l’impero russo e verso la federazione è tradotto in questa frase: “Noi non riconosciamo né le leggi federali né le leggi locali, noi rigettiamo totalmente l’autorità della vostra Federazione di Russia e diamo il benvenuto a coloro che si sono uniti alla resistenza nel Caucaso del nord, e agli altri, individui degni, onesti e nobili”. Così questi rivoluzionari d’estrema destra supportavano i ribelli islamici e wahabiti contro l’esercito federale russo. Ancora una volta, la retorica secessionista e anti federale sembra al centro delle rivendicazioni.

In un testo apparso sul sito del DPNI (il principale movimento d’estrema destra russa), i membri del gruppo hanno dichiarato di essersi schierati contro il fascismo giudaico, come i loro gloriosi antenati si erano schierati contro il fascismo tedesco. Contemporaneamente a questo “sostegno” piuttosto logico dell’estrema destra russa ci sono stati dei sostegni più sorprendenti. Alcune associazioni dei diritti dell’uomo, come ad esempio l’associazione Agora, di cui è stata fatta pubblicità ad esempio sul sitodell’oppositore liberale Garry Kasparov,  hanno denunciato la brutalità della polizia dopo l’intervento contro i giovani ribelli. Va notato che l’associazione Agora è ugualmente accusata di finanziare il terrorismo sul territorio della Federazione russa, e cioè nella repubblica musulmana del Tatarstan. Da allora è stata aperta un’inchiesta per controllare i finanziamenti di questa organizzazione. Questo sostegno di piccoli gruppi di estrema destra da parte di associazioni liberali e in difesa dei diritti dell’uomo è una caratteristica del fronte arancio-bruno che opera in Eurasia, e in particolare in Russia.

Dicembre 2010: Mosca
Nello scorso dicembre, dopo la morte di un tifoso calcistico, ucciso per mano di cittadini del Caucaso russo, migliaia di giovani tifosi si sono riuniti l’11 dicembre per commemorare la sua morte e criticare la rimessa in libertà dei presunti assassini. La manifestazione si è rapidamente trasformata in un raduno politico. Ci sono stati violenti scontri con le forze dell’ordine, ed un meeting di contestazione contro “la corruzione, l’immigrazione e il potere”.

Nei giorni e nelle settimane seguenti, tensioni in crescita hanno portato a una giornata di confronto comunitario virtuale il 15 dicembre a Mosca, quando migliaia di nazionalisti e cittadini del Caucaso del nord si sono riuniti senza affrontarsi realmente. Manifestazioni di questi nazionalisti in collera hanno avuto luogo in numerose città della Russia (PermKirovKalugaSamaraIzhevskVoronezhTomskUfaKaliningrad…). Anche se queste manifestazioni potrebbero sembrare spontanee, sussistono dei dubbi quando il loro scoppio corrisponde alla loro utilità. L’eccellente commentatore di Ria-Novosti, Ilya Kramik, ha dimostrato in un articolo: la curiosissima agitazione sul web, in particolare l’invio di messaggi falsi che invitavano i Caucasici ad armarsi e a riunirsi la sera del 15 dicembre. Questo messaggio conteneva tra i destinatari liste di falsi dirigenti caucasici.

In parallelo sono apparsi su numerosi forum russi messaggi che invocavano a “stroncare i Caucasici”. Sono corse voci di colonne di veicoli del Caucaso che si dirigevano a Mosca ecc. Questa agitazione informatica destinata a creare una destabilizzazione al cuore della società civile russa ha causato la creazione di una brigata informatica specializzata a sorvegliare lo spazio di internet. È inoltre da notare che ancora una volta si sono fatti sentire i sostegni dei nazionalisti ucraini, e in Ucraina la stragrande maggioranza dei movimenti di estrema destra non ha celato la totale ostilità al potere russo e ha sostenuto largamente la rivoluzione arancione del 2004.

La nuova estrema destra russa al centro del movimento?
Due movimenti russi hanno contribuito a mantenere la pressione, il DPNI che abbiamo già citato più in alto e che ad esempio ha chiamato il 14 dicembre i Russi ad armarsi e gli anziani a non lasciare le proprie case, ma in egual misura anche un movimento poco conosciuto dagli stranieri, l’alleanza nazional-democratica. Questo movimento molto recente (datato agli inizi del 2010) – il cui sito intitolato “Nazdem” fa intuitivamente pensare a “Nazbol”, e la cui fiamma nel logo fa anche stranamente pensare a href=”http://d1i6vahw24eb07.cloudfront.net/s1920q.png”>quella di radio Svodoba o a quella dell’associazione di Soros Freedom House – ha giocato un ruolo importante nell’organizzazione delle manifestazioni. L’utilizzo di striscioni ininglese porta a chiedersi quale fosse realmente il pubblico designato, i russi o piuttosto i media stranieri. Ciò ci ricorda le azioni nell’anno 2000 a Mosca del perenne oppositore Kasparov, il quale ha organizzato manifestazioni ad hoc, vietate, ma soprattutto destinate ai media stranieri. Questa curiosa associazione segue una logica molto orientata verso i diritti dei cittadini e destinata alla società civile.

I Nazdem si appellano ugualmente all’integrazione della Russia nella NATO e nell’UE, all’indipendenza del Caucaso, oltre che allo smembramento della federazione nella forma attuale (tale idea fa pensare alle intenzioni indipendentiste dei partigiani della foresta). Inoltre, i Nazdem affermano il loro sostegno a Israele e alla comunità internazionale attuale contro gli stati facinorosi, primo tra tutti l’Iran. Infine, i Nazdem sostengono l’opposizione bielorussa anche se la loro pagina rimanda a quello che ricorda fortemente una ONG filo-occidentale, esortando la Bielorussia a unirsiall’Unione Europea. Inoltre va notata dopo le elezioni presidenziali in Bielorussia la volontà di alcuni provocatori arancioni di creare problemi all’opposizione bielorussa, come in quest’immagine. In un recente articolo Alexandre Douguine accusa le organizzazioni nazionaliste che fanno appello all’indipendenza del Caucaso di essere sponsorizzate dai servizi occidentali.

Alleanze tra i liberali (arancioni) e i radicali (bruni)?
Ancora una volta quindi, come quando i partigiani regionalisti dell’estremo oriente hanno sostenuto i Boieviki Ceceni, si sviluppano alleanze contro natura. L’Alleanza Nazionale democratica ha deciso di sostenere il movimento d’opposizione liberale S31che ci ricordiamo essere una coalizione che unisce tanto le associazioni di difesa dei diritti dell’uomo, i movimenti di estrema sinistra, le associazioni arancioni come il comitato Helsinki, o memoriali, quanto quelle nazionali bolsceviche di Edouard Limonov (che ha, lo ricordo, la doppia nazionalità francese e russa), ma anche i liberali Nemtsov e Kasparov.

Fuori dalla Russia, ricordo che ormai è un dato di fatto che Strategie 31 sia sostenutada Boris Berezovski. Ci si può chiedere se il movimento dell’11 dicembre non sia ormai altro che una pallida copia del movimento del 31 di ogni mese, sebbene a questa questione sia stata fatta una smentita formale. Infine il principale organizzatore liberale di S31, e un responsabile del DPNI, sono stati arrestati e condannati a 15 giorni di prigione per una manifestazione vietata a fine 2010. Più di recente, è stato invece un leader del movimento l’altra RussiaIgor Bereziouk, che è stato arrestato per la sua partecipazione alle violenze del 15 dicembre scorso in piazza rossa.

Che cosa possiamo dire-dedurre da tutto ciò? Sicuramente, la Russia ha già conosciuto manifestazioni di rivolta e di contestazione. Ma dopo l’apparizione delle rivoluzioni colorate in tutto lo spazio eurasiatico postsovietico, la Russia è stato il solo paese ad essere risparmiato. Di sicuro tale resistenza a queste rivoluzioni colorate ha delle ragioni strutturali (relativa buona salute dell’economia) tanto quanto politiche (solidità del regime e del sostegno popolare a questo regime). Tuttavia quando nel 2011 i principali regimi colpiti dalle rivoluzioni colorate sono crollati, sembra che il movimento sia ancora attivo, e che giochi la carta della destavilizzazione politica per la contestazione sociale. L’idea è astuta e la contestazione della corruzione senza dubbio giustificata. Ma gli obiettivi di coloro che portano al crollo del regime non corrispondono all’instaurazione di un nuovo regime pulito e non corrotto, ma la presa del controllo geopolitico e geostrategico del cuore dell’isola-mondo, l’Eurasia.

Le rivoluzioni colorate in Eurasia (III)

 
Le rivoluzioni colorate ai confini della Russia

Dopo la caduta del muro di Berlino, la cortina di ferro si sposta verso Est. Il riflusso dell’influenza sovietica e in seguito della Russia porta a favorire indirettamente le mire geopolitiche atlantiste. L’estensione di NATO e Unione Europea sovrapposte crea una nuova divisione dell’Europa. Questa satellizzazione dei paesi dell’Est Europa da parte della NATO, ha fatto di una parte dell’Europa orientale una testa di ponte dell’America per attaccare l’Eurasia[30], secondo l’esperto Italiano di geopolitica Tiberio Graziani. Nel settembre 1997 uno dei più influenti politologi americani, Zbigniew Brzezinski[31], ha pubblicato un articolo[32] sulla geopolitica dell’Eurasia e il mantenimento della leadership americana che passa secondo lui da un parcellamento della Russia in tre stati distinti raggruppati sotto il nome di “Confederazione Russa”. Brzezinski propone questo parcellamento con lo scopo di liberare la Siberia occidentale e la sua vicina orientale dalla morsa burocratica di Mosca, affermando nella sua opera principale[33] che così (e soprattutto) “la Russia sarà meno propensa a nutrire ambizioni imperialiste” e dunque a impedire l’imposizione del controllo dell’America in Eurasia. Allo stesso modo, nella sfera d’influenza russa e nelle vicinanze delle sue frontiere, taluni alleati tradizionali della Russia, refrattari all’estensione della NATO, hanno resistito anch’essi a questa natoizzazione. Questi stati, strategici sia sul piano politico che su quello geografico, saranno dunque i bersagli dei colpi di stato democratici che chiamiamo rivoluzioni colorate.

La Serbia nel 2000, le reti Soros, l’Open Society, Freedom House e la NED hanno organizzato grandi manifestazioni nei due turni delle presidenziali del 2000. Sostenuta dai nazionalisti (come sarà nel caso dell’Ucraina), la rivoluzione ha preso il nome di rivoluzione dei bulldozer[34] poiché migliaia di minatori hanno utilizzato dei bulldozer per prendere d’assalto la capitale e il parlamento, e questo senza attendere il risultato delle elezioni, cosa che dice molto sul carattere democratico di questa rivoluzione. Il nuovo governo nominerà un primo ministro che sarà in seguito assassinato per aver consegnato Slobodan Milosevic al Tribunale Penale Internazionale, dove quest’ultimo morirà prima di essere giudicato. Le truppe americane installeranno la base militare di Bondsteel[35] in Kosovo e renderanno definitivamente questa provincia serba uno stato indipendente che non è ancora oggi, 10 anni dopo, riconosciuto dalla maggioranza dei paesi membri dell’ONU. Nel 2010, nel momento in cui il paese tenta faticosamente di negoziare l’adesione all’UE, la situazione economica è catastrofica e il potere indebolito non può pensare di vincere le prossime elezioni.

La Georgia nel 2003, secondo lo schema classico, l’opposizione denuncia le frodi elettorali dopo le elezioni legislative e scende in piazza. I manifestanti costringono il presidente Edouard Chevardnadze a fuggire prima ancora di prendere il potere. È la rivoluzione delle rose[36]. Il suo successore Mikhail Sakashvili apre il paese agli interessi economici americani e occidentali, e si muove in direzione dell’entrata nella NATO e nell’UE. Naturalmente rompe con il vicino russo. 5 anni più tardi, nell’Agosto 2008, Sakashvili bombarda la popolazione dell’Ossezia del Sud, massacrando numerosi osseti, di cui la maggior parte hanno la doppia nazionalità russa e georgiana, cosicché vengono mandati dall’ONU dei soldati russi per il mantenimento della pace. Mosca controbatte all’offensiva militare georgiana, che era stata appoggiata da strutture americane in Ucraina, e la costringe ad arretrare. Bilancio: il paese è devastato. Le elezioni del 2008, avendo visto la rielezione del presidente Sakashvili, sono state assai critiche perché giudicate al limite della democraticità.


L’Ucraina nel 2004: L’elezione presidenziale in Ucraina oppone Victor Ianoukovitch a Victor Iouchenko e Ioulia Timoshenko, questi ultimi con il sostegno dell’Ovest e della comunità internazionale. Dalla chiusura degli scrutini, vengono pubblicati risultati divergenti e migliaia di Ucraini si raggruppano nella piazza centrale di Kiev dove Viktor Iouchenko darà inizio alla resistenza non violenta contro la dittatura. L’OCSE e Freedom House condanneranno le falsificazioni elettorali mentre Vladimir Putin e Loukachenko riconosceranno la vittoria del candidato designato vincitore dalla commissione elettorale ucraina, Victor Ianoukovitch. Dopo 15 giorni di manifestazioni abilmente organizzate riunendo i movimenti liberali e l’estrema destra, sotto una forte pressione mediatica (OCSE, NATO, Consiglio  d’Europa, Parlamento europeo..) il risultato delle elezioni sarà infine annullato e verrà organizzata una terza elezione che vedrà la vittoria del candidato dell’Ovest, Viktor Iouchenko. È la rivoluzione arancione[37]. Dopo un mandato, il paese è in rovina, il presidente Iouchenko non sarà più rieletto nel 2009, ottenendo meno del 5% dei voti. Senza grande sorpresa, è Victor Ianoukovitch che prende il suo posto, grazie all’influenza della rivoluzione arancione e degli occidentali, l’ultra nazionalista Ioulia Timoshenko è accusata di corruzione.

Kirghizstan 2005: l’opposizione kirghisa contesta il risultato delle elezioni legislative e porta a Bichkek i manifestanti del Sud del paese che rovesciano il presidente Askar Akaïev. È la rivoluzione dei tulipani[38]. L’Assemblea nazionale elegge come presidente il candidato pro americano Kourmanbek Bakiev che occuperà contemporaneamente il posto di presidente e primo ministro. Stabilizzatasi la situazione, Bakaiev vende le poche risorse del paese a società statunitensi e installa una base militare USA a Manas. Accusato di corruzione e di aver lasciato aggravare la situazione economica, Bakiev è scacciato dal potere da una nuova rivoluzione popolare nel 2010[39].


Modus operandi del colpo di stato democratico


La logistica della comunicazione e dell’organizzazione delle manifestazioni che sono in certi casi durate alcune settimane, nel freddo glaciale dell’inverno ucraino, non ha lasciato nulla al caso. La calma e la rapidità della presa del parlamento, in un paese tanto instabile e violento com’è la Georgia, o il ruolo di una ONG vicina all’opposizione, la CESID[40], che contesterà i risultati delle elezioni dopo la loro proclamazione in Serbia, infine l’innescamento di manifestazioni coordinate in piazza, non sono neanch’essi dei rischi. In effetti questi avvenimenti sono il risultato di realtà permanenti formate alle tecniche dell’agitazione, e raggruppate in seno a diversi movimenti. Tali professionalità veramente rivoluzionarie sono finalizzate al rovesciamento del potere, spostandosi di stato in stato e di rivoluzione in rivoluzione per conto delle ONG, e quindi da interessi americani in Europa. Il punto comune di queste rivoluzioni è stata innanzitutto l’apparizione in ogni paese di movimenti giovanili assolutamente simili per il retroscena che per la forma, e che hanno applicato il medesimo metodo rivoluzionario. La prima rivoluzione colorata che si è svolta in Serbia nel 2000 è stata in gran parte organizzata da un movimento giovanile chiamato Otpor[41], vero motore delle contestazioni studentesche. Alexander Maric, uno dei quadri di Otpor, riconoscerà più tardi “i suoi legami diretti con alcuni membri del dipartimento di stato e della casa bianca e inoltre che il grosso dei finanziamenti proveniva dall’USAID, da Freedom House e dall’Open Society”[42]. Maric preciserà che “seminari di fomazione hanno avuto luogo a Budapest, Bucarest e in Bosnia nella primavera precedente agli avvenimenti”. Lì i militanti di Otpor hanno incontrato i responsabili dell’Albert Einstein Institute, così come i militanti del movimento polacco Solidarnosc[43]. La tecnica utilizzata, affermerà Maric, è direttamente ispirata alle tecniche d’azione non violente di Sharp e Ackerman, atte a: “discreditare il potere, incitare all’azione civica e alla manifestazione pacifica, il tutto supervisionato da un’associazione senza un esecutivo identificabile. […] Il movimento doveva inoltre presentarsi come apolitico e fare perno soprattutto sugli indecisi”[44]. Inoltre il gruppo doveva: “usare messaggi brevi, slogan, e i militanti dovevano essere scelti secondo la loro apparenza, per vendere l’immagine del movimento connotandolo di un aspetto romantico e libertario, così da ispirare le vocazioni”[45]. Infine il movimento poteva contare su un appoggio massivo del main-stream mediatico planetario, che si era assicurato di filtrare e selezionare le informazioni per poter presentare le manifestazioni come degli assembramenti spontanei di una gioventù che aspira alla libertà e alla democrazia, e che intende collaborare con la comunità internazionale.

Dopo la riuscita dell’operazione in Serbia, due quadri dell’Otpor, Aleksandar Maric e Stanko Lazendic saranno impiegati da Freedom House per fornire la propria conoscenza e la propria esperienza negli altri paesi sotto osservazione e apportare il loro sostegno alle rivoluzioni in Georgia nel 2003 e in Ucraina nel 2004. L’assistenza verterà tanto sulle tecniche di protesta non violenta che sulle negoziazioni con le autorità e ancora sulla logistica necessaria per tenere manifestazioni dalla durata di più settimane. Questo sarà in particolare il caso dell’Ucraina dove migliaia di tende e coperte sono messe a disposizione dei manifestanti per accamparsi nella piazza dell’indipendenza con un freddo glaciale. Durante l’occupazione della piazza vengono serviti dei pasti gratuiti. La segnaletica scelta per questi gruppi fratelli (i pugni tesi) lascia pochi dubbi sulla loro interdipendenza, sia che appartengano al gruppo ucraino Pora[46], al kirghiso Kelkel[47] o al georgiano Kmara[48]. Bisogna notare che nel numero dei paesi che non sono stati (ancora?) colpiti dalle rivoluzioni colorate, esistono già gruppi simili, per esempio sia in Bielorussia (Zubr[49]), che in Russia (Oborona[50]), che in Albania (Mjaft[51]), quest’ultimo paese essendo attualmente nella condizione di teatro di manifestazioni di cruciale importanza. Possiamo inoltre citare i movimenti uzbechi Bolga e Youkol, oltre che il movimento azero Jok. Costoro sono d’altronde i militanti del movimento georgiano Kmara che hanno accorpato i loro cugini russi di Oborona, gettando ulteriore benzina sul fuoco alle relazioni intrattenute dai due paesi. Quanto a Otpor, si è trasformato in un partito politico sebo nel 2003, mancando miseramente alle legislative dello stesso anno per confluire nel partito politico DS di Boris Tadic, l’attuale presidente. La maggior parte dei suoi membri si è riconvertita nei centri d’analisi politica locale come CANVAS e CNVR. Uno dei quadri, Ivan Marovic, dal 2003[52] ha cooperato con il già menzionato INCN e la compagnia York Zimmermann Inc., ed infine con una squadra di autori di giochi informatici (BreakAwat Ltd.) per l’elaborazione di un videogioco pubblicato nel 2005 (A Force More Powerfull. The Game of Nonviolent Strategy). Il gioco[53] si basa sulle differenti strategie e tattiche d’azione non violenta che sono state impiegate in tutto il mondo per rovesciare i «regimi dittatoriali» e i «nemici della democrazia e dei diritti dell’uomo», tra cui Milosevic. Così, il cerchio è chiuso e i collegamenti con le già citate teorie di Ackerman sullo sviluppo dei videogiochi ambientati in scenari reali, da cui far scaturire le rivoluzioni colorate, sono evidenti. Bisogna notare un’altra particolarità delle rivoluzioni colorate. Esse si fondano sulla restaurazione nazionale e l’anti imperialismo (russo o postsovietico, per slittamento semantico) e hanno visto la partecipazione attiva dei nazionalisti e di alcuni gruppi di estrema destra nei paesi coinvolti. Questo sarà in particolare il caso della Serbia e dell’Ucraina. Per questa ragione si è parlato di fronte arancio-bruno contro la Russia, a causa di una coalizione eteroclita che riunisce democratici pro-occidentali e movimenti di estrema destra, come i neo nazisti, apertamente anti russi. Tali alleanze si rafforzano oggi in Russia, dove una debole e parcellizzata opposizione liberale manifesta al fianco degli skinhead nazionalisti di sinistra, della fazione nazionale bolscevica, o dei principali movimenti di estrema destra.


Bilancio e futuro delle rivoluzioni colorate


Come abbiamo visto, l’obiettivo delle rivoluzioni colorate è di rafforzare la presenza americana (e quindi della NATO) nel cuore dell’Eurasia, intorno alla Russia, al fine di colpire gli obiettivi geostrategici e geopolitici teorizzati nel secolo scorso dagli strateghi geopolitici Mackinder e Spykman. È opportuno notare che costoro avevano visto bene, l’Eurasia si è rivelata come la zona più importante al mondo in termini di risorse energetiche, di popolazioni e di frontiere tra aree di civiltà. Certamente queste rivoluzioni presentano numerosi punti in comune, come il fatto di riguardare stati considerati strategici per ragioni geografiche o politiche (in quanto confinanti con la Russia) o ancora situati su corridoi energetici. Ma uno dei punti in comune delle rivoluzioni colorate è anche quello di tenere sotto controllo degli stati con regimi politici relativamente deboli o instabili. La Russia e la Bielorussia per esempio non sono state affatto scalfite da queste minacce, avendo notoriamente preso con rapidità le misure necessarie, essendo state le ONG vietate, e i mercenari della rivoluzione espulsi. La Russia ha d’altronde introdotto una novità, sviluppando un contro movimento giovanile su grande scala, quello dei Nashi[54], destinato a prevenire ogni tentativo di rivoluzione colorata in piazza poiché in grado di avere il sopravvento. Inoltre, sul territorio della federazione russa e in Bielorussia, le attività delle reti Soros e delle loro filiali sono state semplicemente vietate.

Per Karine-Ter-Sahakian[55], già nel 2008, i regimi nati da queste rivoluzioni colorate non avevano alcun futuro. Quest’ultima affermava che: “Il crollo delle rivoluzioni colorate nell’area postsovietica è assolutamente naturale, se non semplicemente inevitabile. La posta per la democrazia e il libero mercato, dei quali George Bush si riempiva la bocca con grande entusiasmo, si è palesata prematuramente”. Effettivamente, tali rivoluzioni colorate che hanno portato in gran parte nomi di fiori (rivoluzione dei tulipani, dei papaveri, delle rose) sono appassite. I casi dell’Ucraina e della Serbia sono emblematici dell’incapacità dei dirigenti messi al potere dalle rivoluzioni colorate di mantenere una stabilità economica minimale, e contemporaneamente aprire le loro economie agli interessi americani. Il movimento si è rivelato uno scacco per lo meno nel suo aspetto politico a lungo termine. La sua retorica e la sua tattica sono state perfettamente decriptate e decodificate. Contromisure efficaci sono state facilmente messe in atto e sperimentate in Russia e Bielorussia. Inoltre, è evidente che la crisi finanziaria ha diminuito i budget disponibili per le rivoluzioni colorate. Infine, la risposta russa, diplomatica e militare nell’agosto 2008. ha dimostrato che essa era pronta a opporsi a queste violazioni democratiche e a proteggere i suoi cittadini, anche al di fuori delle sue frontiere.


Ora, tutta l’energia intellettuale dissipata dai promotori delle rivoluzioni colorate nei diversi tentativi di destabilizzazione della Russia potrà utilmente essere impiegata, ad esempio, per misurare le conseguenze future della primavera araba poiché per il momento esse restano incalcolabili ma riguarderanno tanto l’Europa e la Russia quanto l’America.

[30] http://www.geostrategie.com/1490/les-etats-unis-utilisent-l%E2%80%99europe-comme-tete-de-pont-pour-attaquer-l%E2%80%99eurasie
[31] http://it.wikipedia.org/wiki/Zbigniew_Brzezinski
[32] http://www.comw.org/pda/fulltext/9709brzezinski.html
[33] Le grand échiquier, p 56
[34] http://fr.wikipedia.org/wiki/5_octobre_2000_en_Serbie
[35] http://fr.wikipedia.org/wiki/Camp_Bondsteel
[36] http://fr.wikipedia.org/wiki/R%C3%A9volution_des_Roses
[37] http://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_arancione
[38] http://fr.wikipedia.org/wiki/R%C3%A9volution_des_Tulipes
[39] http://fr.wikipedia.org/wiki/R%C3%A9volution_kirghize_de_2010
[40] http://en.wikipedia.org/wiki/CeSID
[41] http://fr.wikipedia.org/wiki/Otpor
[42] Patrice Vidal, Dans l’arrière cour de Moscou, p. 147 et 148
[43] http://fr.wikipedia.org/wiki/Solidarno%C5%9B%C4%87
[44] Patrice Vidal, Dans l’arrière cour de Moscou, p. 149-150
[45] Patrice Vidal, Dans l’arrière cour de Moscou, p. 151
[46] http://fr.wikipedia.org/wiki/Pora
[47] http://en.wikipedia.org/wiki/KelKel
[48] http://fr.wikipedia.org/wiki/Kmara
[49] http://fr.wikipedia.org/wiki/Zubr_%28Bi%C3%A9lorussie%29
[50] http://www.oborona.org/
[51] http://en.wikipedia.org/wiki/Mjaft
[52] http://socio-anthropologie.revues.org/index1248.html
[53] http://www.aforcemorepowerful.org/game/index.php#about
[54] http://nashi.su/
[55] http://eafjd.eu/spip.php?breve1692

Le rivoluzioni colorate in Eurasia (II)

 
Alla base delle rivoluzioni colorate: il progetto di smembramento della Russia


La volontà di indebolire e smembrare la Russia in una moltitudine di stati è antica. All’epoca del grande gioco[6] nel 19° secolo, durante la lotta che oppose le potenze russa e britannica nell’Asia centrale e nel Caucaso, l’Inghilterra aveva ben compreso l’importanza e dunque la minaccia nei propri confronti delle recenti conquiste russe ai danni dell’impero Ottomano. Queste conquiste avevano aperto alla Russia la via per il Mediterraneo e per il mar Nero. Dal 1835 l’Inghilterra tenta quindi di destabilizzare la Russia in particolare con la consegna di armi al Caucaso (caso della goletta britannica Vexen[7]), o ancora con la creazione dei comitati Tchétchènes o Tcherkesses durante il congresso di Parigi del 1856, dopo la guerra di Crimea[8].
Il fronte caucasico sarà, nel corso del 20° e del 21° secolo, una sorta di zona debole tramite la quale l’Inghilterra e poi l’America tenteranno di destabilizzare la Russia. Agli albori del 20° secolo in effetti alcuni responsabili delle repubbliche musulmane di Russia, principalmente in Caucaso e nell’Asia centrale, tenteranno di organizzare la battaglia per l’indipendenza. Due linee si oppongono, i sostenitori di un nazionalismo territoriale e i sostenitori di un’unione panturca (essendo il ruolo degli intellettuali turchi che auspicano una riunificazione panturca relativamente importante all’interno di questi movimenti). Lo scopo degli “indipendentisti” diventa rapidamente quello di attirare le grazie delle democrazie occidentali e a questo titolo viene lanciato un “appello” al congresso di Versailles, con lo scopo di sostenere l’emergenza delle nazioni del Caucaso. 

I bolscevichi non lasciano molto spazio ad alcuna sorta di ambizione indipendentista, dal 1922 i principali responsabili politici indipendentisti saranno costretti all’esilio. Una prima ondata emigra verso Istanbul, cosa che discrediterà il movimento e lo confonderà con l’espansionismo turco, e una seconda ondata approda in Europa, soprattutto in Francia e Germania. La Francia a quest’epoca è già considerata dal Bachkir Zeki Velidov il “centro di combattimento turco-musulmano” contro la Russia. È Józef Piłsudski[9], primo ministro polacco, che forgerà il termine Prometeismo[10] per definire questo movimento. Rapidamente riviste prometeiste furono create in Francia, Germania, Inghilterra, Cecoslovacchia, Polonia, Turchia e ancora in Romania. Collo scoppio della seconda guerra mondiale e dopo il patto germano-sovietico i prometeisti si schierano, dalla costa dell’Inghilterra e dalla Polonia, contro la Germania e l’URSS. Il movimento “prometeista” trarrà beneficio da forti sostegni finanziari in Polonia e sostegni politici in Francia, tramite ad esempio il comitato Francia-oriente, sotto il patrocinio del presidente del senato Paul Doumer. Il principale progetto è stato la creazione di una federazione del Caucaso sul modello elvetico. Dopo la perdita della Polonia, il movimento fu imbrigliato dalle strategie naziste che prevedevano il frazionamento dell’URSS in piccole entità, più facili da controllare e sconfiggere militarmente. I Tedeschi creeranno proprio in questa ottica le legioni SS nel Turkestan russo così come delle divisioni nel Caucaso musulmano. In seguito alla vittoria dell’URSS e il riconoscimento delle sue frontiere da parte della SDN i prometeisti si rivolgono all’America con la creazione di una “lega prometeista della Carta Atlantica”. Dopo il sostegno turco-musulmano, quello cattolico e anticomunista, e infine quello nazista, il movimento troverà un appoggio inatteso nella CIA che ne farà uno strumento di lotta contro l’URSS in piena guerra fredda. La grande confusione ideologica che spicca da questo evolversi di fatti porterà allo sviluppo di una linea “prometeista” che si definirà per forza di cose come antirussa. Globalmente, si può parlare di una sorta di fronte Arancio-Verde, coalizione niente affatto eteroclita tra gli interessi occidentali e quelli islamico-indipendentisti del Caucaso, contro la Russia.


Dottrine geopolitiche, non violenza e ONG umanitarie

Dopo il secondo conflitto mondiale, l’Europa è come già detto divisa in due parti dalla cortina di ferro, l’URSS, considerata come principale potenza capace di dominare l’Eurasia, e le leghe prometeiste che auspicando la sua implosione in diversi stati sono sostenute dalla CIA. Gli strateghi statunitensi vogliono quindi applicare alla lettera gli insegnamenti geopolitici dei propri ideologi tentando di accerchiare la Russia con un reticolo di stati tampone permettendo loro di avanzare in Eurasia. Tale avanzamento sarà messo in atto in un modo completamente innovativo: organizzare una contestazione ai regimi di stampo non violento e apparentemente spontanea, per mezzo di un reticolo perfettamente organizzato. A tal fine, una serie di associazioni e ONG verranno create. Presentate come portabandiera della democrazia, esse sono soprattutto gli emissari politici dell’America nel seno degli stati giudicati poco affidabili e non democratici, vale a dire i paesi che non fanno parte dell’alleanza occidentale, generalmente appartenenti al gruppo dei non allineati. Il concetto non è dunque recente, risale agli anni 80, in piena guerra fredda. Si svilupperà in una costellazione di ONG che il governo Reagan finanzia per indebolire e contrastare l’influenza sovietica.
Le principali sono l’USAID[11], oltre che l’USIP[12], e ancora la NED[13], che è una scuola di quadri per il mondo intero, e che gestisce essa stessa le numerose associazioni liberali che promuovono i valori democratici. Nascono anche l’Institute for the Study of URSS e l’American Comitee for Liberation of Bolchevism[14], alle quali hanno contribuito leader prometeisti dopo il secondo conflitto mondiale. Si possono citare l’istituto Aspen[15], la Jamestown foundation[16] o ancora il comitato per i paesi del Caucaso[17], che ha organizzato, finanziato e sostenuto la Jihad contro i sovietici in Afghanistan. Questo comitato è un’emulazione di Freedomhouse[18], cuore del sistema, fondata nel 1941 per contrastare l’influenza nazista e che si trasformerà più tardi in direzione dell’anti sovietismo. La lista non potrebbe essere completa senza la Fondazione Héritage[19], fondata nel 1973, arma della dottrina Reagan antisovietica e oggi uno dei principali think-tanks conservatori americani. La rete Open Society[20] di Georges Soros, destinata a promuovere la libertà e la democrazia nel mondo postsovietico, tramite un certo numero di associazioni ad essa associate. E infine l’AEI[21], che è stato uno dei principali architetti della politica neoconservatrice dell’amministrazione Bush. L’AEI è sovente citato, insieme all’Heritage Foundation[22], come controparte del diritto della liberale think tank Brookings Institution[23].

L’Albert Einstein Institute[24] è un’organizzazione particolarmente peculiare, giacchè il suo fondatore Gene Sharp[25] è anche l’autore del libro From dictatorship to democracy, manuale veritiero  sull’azione non violenta e che sarà utilizzato dalla maggior parte delle organizzazioni di giovani finanziate da queste ONG per sovvertire i governi tenuti sotto osservazione. Gene Sharp ha politicizzato le tecniche d’azione non violenta nel contesto del rinnovamento della guerra fredda per preparare una eventuale resistenza in Europa nel caso di invasione dell’armata rossa. Questo filosofo relativamente poco conosciuto ha pubblicato tra il 1985 e il 2005 numerose opere su tali tecniche di resistenza non violenta. Dal 1987 ha fornito informazioni alla NATO. È importante notare che l’implicazione di Robert Helvey[26], un tempo responsabile della CIA, dagli anni 90 permetterà all’istituto di disporre di abbondanti finanziamenti dell’International Republican Institute (IRI), un think-tank vicino al partito repubblicano e inoltre uno dei quattro rami del National Endownment for Democracy (NED). Le teorie presentate sono da mettere in parallelo con le attività dell’ICNC[27] diretto da Peter Ackerman[28]. Quest’ultimo afferma la supremazia tattica dell’azione non violenta nel quadro globalizzato della società dell’informazione[29]. Sarà sempre lui a sviluppare l’idea di videogiochi con scenari basati sui teatri d’operazione reali o supposti (per il futuro) di tali rivoluzioni. Così le teorie di Sharp e Ackerman costituiscono le fondamenta del sistema della disinformazione globale e della guerra d’opinione, essenziale per scatenare le rivoluzioni non violente. Questo soft power incentrato sulla comunicazione via internet, sul giornalismo popolare e sui social network permette agevolmente la diffusione massiva di messaggi inverificabili che giocano sulla spontaneità. Tramite tali tecniche innovatrici e di soft power, la rivoluzione non violenta può essere quindi compresa in tutte le sue sfaccettature: la palesazione delle vie delle rivoluzioni colorate, l’utilizzo dei social network per destabilizzare gli stati o ancora la guerra d’informazione, o cyber-guerra, ugualmente non violenta. Si può affermare che pochi osservatori hanno realizzato l’importanza dei finanziamenti e l’ampiezza della portata di tutte queste organizzazioni, think tank e ONG. Allo stesso modo, pochi osservatori hanno compreso la loro origine comune in seno a un dispositivo unico, in una visione geopolitica.

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[7] Natalia Narochnitskaya, Que reste t-il de notre victoire, p 171
[8] Natalia Narochnitskaya, Que reste t-il de notre victoire, p 171
[25] http://fr.wikipedia.org/wiki/Gene_Sharp

[27] http://en.wikipedia.org/wiki/International_Center_on_Nonviolent_Conflict

Le rivoluzioni colorate in Eurasia (I)

La situazione del mondo arabo scossa dalle rivolte popolari rischia di culminare nella disintegrazione di taluni Stati e nel loro frazionamento in minuscole realtà. Uno scenario simile è stato previsto allo stesso modo per la Russia, ma tale scenario non ha alcuna possibilità di diventare reale[1].
Dimitri Medvedev, Vladikavkaz, Ossezia del Nord, 22 febbraio 2011.

Durante lo scorso decennio, una parte dei paesi dell’ex mondo sovietico, (Europa centrale e Asia centrale) è stato disintegrato da un’ondata di rivoluzioni. Queste rivoluzioni, o almeno quelle il cui corso è già concluso, hanno introdotto dei cambiamenti di potere e quindi d’orientamento politico in seno agli stati in questione. Tali cambiamenti di regime si sono tutti svolti secondo identici scenari, non violenti, e presentati dal main-stream mediatico come rivoluzioni democratiche, provocate da una gioventù avida di libertà e che intende far vacillare regimi politici cripto-sovietici, debolmente democratici e corrotti. Queste “rivoluzioni colorate[2]” o “rivoluzioni arancioni” (dal nome della rivoluzione in Ucraina), ci sono state presentate in un certo senso come complementari e conseguenti alle “rivoluzioni di velluto[3]” che hanno segnato l’inizio dell’emancipazione delle nazioni dell’Europa dell’Est dal giogo sovietico. Pertanto, come vedremo, questi cambiamenti politici non sono frutto del caso, né la conseguenza della volontà politica di un’opposizione democratica. Essi sono indiscutibilmente delle operazioni geostrategiche pianificate, organizzate dall’esterno dei paesi coinvolti.

Battaglia per l’Eurasia

Il 20° secolo ha visto il rimpiazzo del dominio inglese a causa della dominazione americana. Tale rimpiazzo di una potenza marittima da parte di un’altra non modifica l’approccio di questi stati verso il mondo, né tantomeno verso il continente. La necessità di ogni potenza dominante (Inghilterra del 19° secolo e America del 20°) di affermare la propria presenza nel cuore dell’Eurasia è essenziale e passa obbligatoriamente, lo vedremo, per un reflusso dell’influenza russa in questa zona, che corrisponde pertanto all’area straniera più prossima. Questa teoria dello sfondamento in Eurasia è un elemento essenziale da valutare per chi vuole comprendere la relazione dell’America con la Russia, come era stato durante il secolo precedente quella della Russia con l’Inghilterra, in seno al grande gioco[4] nell’Asia centrale. In effetti queste due potenze obbediscono alle medesime leggi geopolitiche e sottostanno ai medesimi limiti geografici. Il carattere insulare di entrambi gli stati fa che la loro volontà di dominazione mondiale passi per due restrizioni obbligatorie: in primo luogo il predominio dei mercati (da cui la loro potenza marittima) ma anche l’obbligo di non restare isolati, di ingerire nei centri geografici del mondo, là dove si trova concentrato il grosso della popolazione e delle risorse energetiche ma allo stesso tempo là dove si decide la Storia. Questo obiettivo deriva da una dottrina geopolitica anglosassone, che definisce i rapporti tra potenze mondiali come un’opposizione tra le potenze dette marittime (Inghilterra, America), e quelle definite continentali (Germania, Russia, Cina). Tale teoria è in particolare quella presentata da uno dei padri della geopolitica moderna, Halford Mackinder (1861-1947), che ha definito l’esistenza di un “cuore della Terra” (Heartland) situato nel centro dell’Eurasia, in una zona che copre l’attuale Siberia e il Caucaso. Mackinder teme (la sua teoria è precedente alla seconda guerra mondiale) che questa zona del mondo possa organizzarsi e divenire totalmente sovrana, escludendo così l’America (situata in un’isola decentrata) dalla gestione della politica mondiale. Il maggiore pericolo secondo Mackinder sarebbe stato un’alleanza dei due principali imperi continentali che sono la Germania e la Russia. Egli auspica dunque la costituzione di un fronte di stati in grado di impedire a una coalizione siffatta di venire alla luce. Nel 1945, l’URSS è vista per la sua dimensione e influenza come la principale potenza in grado di unificare l’Heartland. Essa è quindi diventata per forza di cose l’avversario principale dell’America.
Una seconda teoria sviluppata da Nicholas Spykman (1893-1943) considera che la zona essenziale non è tanto l’Heartland quanto la regione situata tra quest’ultima e le coste. Questa seconda teoria, che completa la prima, mostra l’importanza di impedire alla principale potenza continentale (l’URSS un tempo e dal 1991 la Russia) di ottenere uno sbocco sul mare. Per questo fine si è dovuto ugualmente formare un fronte di stati, ma questa volta atto alla creazione di un tampone tra l’URSS e i mari adiacenti (mare del Nord, mar Caspio, mar Nero, mar Mediterraneo). Questo contenimento continua ancora oggi secondo la storica Natalia Narochnitskaya e passa per “l’esclusione dal Nord della Russia dall’ellisse energetico[5] mondiale, zona che comprende la penisola araba, l’Iraq, l’Iran, il golfo persico, il Nord del Caucaso (Caucaso Russo) e l’Afghanistan. Concretamente si tratta di tagliare alla Russia l’accesso agli stretti, ai mari, agli oceani così come alle zone cariche di risorse energetiche, e quindi respingerla verso il Nord e verso l’Est, lontano dal Mediterraneo, dal mar Nero, dal mar Caspio. Ci sono quindi una prima linea di penetrazione che va dai Balcani all’Ucraina per il controllo del mar Egeo e del mar Nero, e una seconda linea che dall’Egitto va fino all’Afghanistan per il controllo del mar Rosso, del golfo persico, e del mar Caspio. Non c’è niente di nuovo in questa strategia, se non la corsa al petrolio che l’ha rilanciata”. Si tratta ancora una volta di separare la Russia dall’Europa occidentale, al fine di evitare le alleanze continentali, in particolare tra le due potenze che sono all’alba del 21° secolo la Russia in ascesa e la Germaina, prima potenza europea.

Mosca, capitale dell’Europa?

L’articolo originale è stato pubblicato il RIA Novosti

Quasi tutti i francesi sono profondamente eurofili, è ironico perché gli stranieri che si recano in Francia sono spesso colpiti dalla loro relativa chiusura mentale, dalla loro ignoranza delle lingue straniere e dal loro sciovinismo spesso eccessivo.Ma i francesi sono dietro il primo tentativo d’integrazione europea dal IX secolo, Carlo Magno, imperatore d’Occidente, fu alla fine del suo regno, a capo di un impero continentale che comprendeva la Francia attuale, parte della Spagna e dell’Italia, e anche parte del mondo germanico e dei Balcani. Per molti intellettuali e storici, Carlo Magno è il padre dell’Europa. Purtroppo o per fortuna dell’Europa, dopo la sua morte, il suo impero venne smembrato. Il secondo tentativo francese di costruire l’Europa è quello di Napoleone, quest’ultimo immaginava di controllare un vasto territorio, continentale, dalla Corsica a Mosca. E’ ben noto, soprattutto in Russia, come il tentativo del corso di costruire l’Europa con le armi fallì nel 1812, di fronte alla resistenza del popolo russo e a un inverno terribile.

Dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa si è trovata divisa in due blocchi, un blocco transatlantico degli Stati Uniti e un polo sovietico, continentale. In Occidente, l’Europa fu costruita con i soldi statunitensi del piano Marshall, in cambio dell’integrazione nella NATO, un’alleanza militare di obbedienza statunitense, fondata nel 1949 e volta a prevenire qualsiasi tentativo imperialista dell’Unione Sovietica. Nel 1955, i paesi dell’Europa orientale sotto la dominazione sovietica, furono incorporati nel Patto di Varsavia, un’alleanza militare creata in risposta alla NATO. L’eurofilia francese si manifesta di nuovo quando nel 1967, il generale de Gaulle fece uscire il suo paese dalla NATO e gli diede l’accesso alla potenza nucleare. Voltando le spalle al mondo anglo-sassone, questi affermò il suo progetto visionario di un’Europa continentale, cancellando la provvisoria cortina di ferro e predicando l’avvicinamento storico con la Germania e la Russia, come parte del continente europeo dall’Atlantico agli Urali. Nel 1960, Parigi si posizionò come capitale politica, e la Francia ha iniziato un nuovo tentativo per la creazione dell’Europa. Questa idea di un asse gollista Parigi-Berlino-Mosca, e l’affermazione secondo cui la Russia, l’Unione Sovietica, all’epoca, è europea, si rivela nel tempo sempre più giusta.
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Ci sono sempre discussioni in Francia, sull’appartenenza della Russia all’Europa. Molte persone, sapendo poco o male della Russia, mi chiedono di questa frontiera gollista che sarebbero gli Urali. Gli Urali, confine geografico tra Europa e Asia, sono davvero un confine, nel cuore della Russia o dell’Europa? I popoli che possiamo incontrare al di là degli Urali sono diversi dai popoli della parte occidentale della Russia? Queste domande possono forse far sorridere chiunque nel paese, ma non sono inventate e, a mio avviso, sono comprensibili sia l’errore semantico del generale de Gaulle che la relativa ignoranza della Russia di oggi.

Poiché vivo in Russia, posso solo confermare quello che ho pensato prima di venire, e cioè che la Russia è un paese molto europeo. Molto europea, come la natura della maggioranza del suo popolo, gli slavi ortodossi, o come il suo patrimonio culturale dominante, l’eredità di Roma e Atene. Questo aspetto della Russia europea è presente in tutto il territorio, sia a Mosca che nel cuore della Siberia fino a Vladivostok, sulla costa del Pacifico, nel Caucaso o nella Carelia settentrionale. Anche l’orientale Kazan non è meno europea di Sarajevo. Tuttavia si deve ammettere, la Russia non è un paese come gli altri paesi dell’Europa. Per le sue dimensioni, le molte nazionalità, la sua estensione geografica fino all’Asia e al Pacifico, la Russia è un impero, un colosso la cui spina dorsale è certamente europea, ma alcune vertebre a volte sono asiatiche o tartare, a volte musulmane o buddiste. Infatti, ho spesso detto ai miei amici francesi che ci sono molte lezioni da prendere dalla Russia nella gestione del “modello multiculturale“, che l’Europa stenta a creare.

Oggi, anche se la Russia e la NATO discutono della creazione di un’architettura di sicurezza nell’emisfero settentrionale, da Vancouver a Vladivostok, le differenze persistono. Gli Stati Uniti, attraverso la NATO estesa sull’Europa occidentale e orientale, stanno entrando nel continente eurasiatico, teatro ritenuto essenziale per la gestione degli affari del mondo. La Russia è un membro dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai, spesso descritta come la NATO asiatica, che vorrebbe coinvolgere l’Europa in una nuova architettura di sicurezza continentale complementare. In questo senso, le proposte russe per creare un’architettura di sicurezza continentale e un comune mercato economico unico da Lisbona a Vladivostok sono sia visionarie che totalmente golliste.

L’unica differenza è che lo slancio politico viene ora da Mosca, non da Parigi come 40 anni fa. C’è probabilmente una ragione, da Mosca, l’Europa s’estende per oltre 4000 km a ovest, verso l’Atlantico, e si trova a circa 6500 km, attraverso la Siberia, dal Pacifico. Il centro di gravità politico dell’Europa si è appena trasferito a est. L’alleanza Parigi-Berlino-Mosca consentirà agli Europei, che non sono stati in grado di costruire dal 1945 una vera autonomia politica e militare, di non rimanere bloccati in camicia di forza unilaterale della NATO e di offrire uno sbocco su regioni così importanti quali saranno, nel mondo multipolare di domani, il Caucaso, l’Asia centrale e l’Asia-Pacifico. E se dopo Parigi ieri e Bruxelles oggi, Mosca domani divenisse la capitale dell’Europa?

Francia-Russia: intervista a Alexandre Latsa

Quali sono le relazioni tra la Francia e la Federazione russa?
Prima di tutto tengo a precisare che le relazioni tra la Russia e la Francia sono relativamente di lunga data. La Francia è sempre stata, e rimane, uno dei principali partner europei della Russia. Nel corso della loro storia lunga di svariati secoli, le relazioni franco-russe hanno determinato per buona parte il clima in Europa e nel mondo. Questa storia risale alla metà del XI secolo, quando la figlia di Jaroslav il Saggio, Anna di Kiev, diventò regina di Francia, sposando Enrico I. Alla morte di quest’ultimo, è lei che assicurerà la reggenza e dirigerà il paese. Le prime relazioni diplomatiche tra Russia e Francia furono stabilite nel 1717, quando il primo ambasciatore russo in Francia recapitò le sue credenziali, firmate da Pietro Il Grande. Il culmine dell’avvicinamento tra la Russia e la Francia fu l’alleanza politico-militare bilaterale che si costituì alla fine del XIX secolo. Il simbolo di questi legami d’amicizia è il ponte Alessandro III su La Senna, a Parigi, la cui prima pietra fu posta nel 1896 dall’imperatore Nicola II e dall’imperatrice Alexandra Fiodorovna. Con l’instaurazione, il 28 ottobre 1924, dei rapporti diplomatici tra l’URSS e la Francia inizia la storia moderna di queste relazioni. Negli anni ’90 è iniziata una nuova fase delle relazioni franco-russe. Il radicale cambiamento giunto in quest’epoca sulla scena mondiale e lo sviluppo di una nuova Russia hanno determinato il progresso di un dialogo politico attivo tra Mosca e Parigi. Tale dialogo si poneva allora, come oggi, su una grande convergenza delle posizioni dei paesi riguardo la formazione di un nuovo ordine mondiale multipolare, i problemi della sicurezza europea, il regolamento dei conflitti regionali, il controllo degli armamenti.

Il documento fondante le relazioni tra Russia e Francia è stato l’Accordo del 7 febbraio 1992 (entrato in vigore il 1 aprile 1993). Esso ratifica l’aspirazione delle due parti a sviluppare delle nuove relazioni di concordia, basate sulla fiducia, la solidarietà e la cooperazione. La base giuridica contrattuale delle relazioni franco-russe si è considerabilmente arricchita a seguito di decine di accordi firmati in diversi ambiti della cooperazione bilaterale. Le relazioni politiche franco-russe diventano sempre più dense.

Quali sono i settori considerati strategici per le relazioni economiche e commerciali tra la Francia e la Russia?
Il commercio russo-francese s’intensifica senza tregua: nel periodo 2001-2009 la cifra degli scambi commerciali tra le due parti è stata moltiplicata per cinque fino a raggiungere 17,128 miliardi di dollari nel 2009. La Francia è attualmente il sesto investitore straniero in Russia ed il quinto fornitore della Russia. La presenza francese si è non solo mantenuta, ma rinforzata nel 2009 nonostante la crisi, e poi nel 2010 nell’anno Francia-Russia. L’attuale tendenza è non solo verso le conferma della presenza francese, ma anche verso dei nuovi inserimenti e in nuovi campi. I settori presi dalla Francia sono tradizionalmente l’energia (in particolare l’estrazione e la trasformazione del petrolio e del gas), la gestione delle reti urbane, la ristorazione ed il commercio al dettaglio, l’edilizia, i trasporti, l’aeronautica e lo spazio, la costruzione di automobili, l’industria farmaceutica, l’agricoltura, l’industria agroalimentare, la macchine e gli equipaggiamenti o ancora le comunicazioni.

L’anno Francia-Russia deve aver visto un forte miglioramento degli scambi economici, poiché se gli investimenti francesi in Russia raggiungono ora più di 3 miliardi di euro, gli investimenti russi in Francia ammontano a 2 miliardi di euro. Possiamo citare a titolo di esempio qualche ambito di questa cooperazione incrociata: la cooperazione energetica col contratto firmato tra GDF Suez e Gazprom sull’entrata del gruppo francese nel progetto del gasdotto Nord Stream, i trasporti con l’entrata di Alstom nel capitale del primo costruttore di treni russo Transmashholding, in quota al 25% e ancora la costruzione automobile col partenariato Renault-Aftovaz. La costruzione non è in debito, il gruppo immobiliare russo Hermitage dovrebbe costruire due torri gemelle di più di 300 metri a La Défense mentre Danone ed il russo Unimilk si associano per creare il numero uno della filiera lattiera in Russia: Danone investe 1,3 miliardi di euro per acquisire 57% del capitale della nuova impresa comune. Ma c’è anche il progetto del Sukhoï Superjet-100, la costruzione di navi metaniere, la realizzazione di vaste infrastrutture (coma la porzione di autostrada che collega Mosca a San Pietroburgo o il ponte gigante a Vladivostok) dalla società Vinci, ed il rafforzamento dell’alleanza Air France-Aeroflot per contrastare la tedesca Lufthansa molto presente in Russia. Questi nuovi mercati non devono tuttavia far dimenticare la posizione tradizionalmente dominante di società francesi sul mercato russo, ad esempio nel settore alimentare, con Auchan. Infine, il 2010 segna l’inizio di una nuova cooperazione molto promettente nel campo spaziale col primo lancio di un lanciatore Soyuz dal centro spaziale guianese.

L’obiettivo per la Francia è chiaro: recuperare la Germania, primo partner economico della Russia. Parigi, questi ultimi anni, è diventata il quinto investitore nel paese, superando già l’Italia e gli Stati Uniti. In Russia nel 2009 sono state censite 500 società francesi, mentre sono presenti allo stesso tempo circa 4.000 società tedesche. Infine delle 120.000 imprese francesi operanti all’internazionale, meno di 6.000 lavorano con la Russia.

Quali sono i problemi riscontrati dagli operatori francesi per entrare nel sistema economico e commerciale russo?
La poca conoscenza del mercato russo è il principale freno agli investimenti. Numerosi investitori francesi hanno una visione nera e negativa della Russia, visione purtroppo favorita dalle analisi quasi sempre pessimiste e false della stampa nazionale. Se leggete per un anno le analisi e gli articoli dei grandi quotidiani francesi sulla Russia, è vero che non viene voglia di investire. Eppure se l’investimento in Russia è « rischioso » (come in tutti i paesi in via di sviluppo), esso può fruttare molto. E anche se la Compagnia Francese di Assicurazione per il Commercio Estero, o COFACE, classifica la Russia nel IV gruppo, sui 5, dei paesi più rischiosi, l’aumento della presenza francese in Russia è giustificato: le società francesi guadagnano molto su questo grande mercato.

Sicuramente la Russia ha dei costumi e delle tradizioni molto particolari, come affermava un’analisi del senato francese del 2005: « La Russia è il più contorto dei paesi emergenti, tutto è difficile, niente è impossibile ». I punti negativi della Russia sono tuttavia noti, c’è la corruzione, che esiste purtroppo ancora, anche se in questi ultimi anni sono stati fatti importanti progressi. Anche se la Russia non è più il paese dove si è ricattati da uomini armati come poteva essere il caso negli anni ’90, la corruzione si è adattata e può concretizzarsi rapidamente un diritto di entrata, ad esempio in occasione della partecipazione a delle gare d’appalto. Lo scandalo che colpisce Daimler ne è l’esempio più recente, in cui la società viene accusata di avere versato decine di milioni di dollari di mazzette a delle agenzie governative russe per ottenere dei contratti. Anche la burocrazia è spesso un incubo per le imprese straniere in Russia, dove la complessità amministrativa si aggiunge ad un sistema fiscale difficilmente comprensibile. Infine, le « défaillance » del sistema giudiziario russo sono una delle principali preoccupazioni. Ma, lo ripeto, le cose cambiano velocemente, e ci sono tutte le più sensate ragioni di essere ottimisti.
In Russia se la prassi non è sempre comprensibile per gli stranieri, gli attori francesi danno spesso anch’essi prova di una relativa ignoranza del sistema (all’arrivo) e di difficoltà nel modificare la loro mentalità per poi poter aprirsi sul mercato russo. Infine, la presenza francese è ancora senza dubbio troppo concentrata sulla zona europea della Russia, Mosca, San Pietroburgo e Nijni-Novgorod. L’estensione in altri luoghi in Russia è relativamente lenta, anche se in certe regioni gli stabilimenti rappresentano fattori di riuscita, sia al sud (Bonduelle e Daucy presso Krasnodar) o a Kaluga (PSA Peugeot Citroën). Uno stabilimento Danone funziona da più di dieci anni a Togliatti, Schneider Electric intende costruirne uno in Tatarstan e Lafarge ha deciso di stabilirsi a Krasnodar e nelle regioni di Kaluga e di Sverdlovsk. Al di là degli Urali la presenza francese è relativamente marcata solo nelle regioni di Ekaterinburg e di Novosibirsk, in quest’ultima città sono presenti una trentina di società francesi.

Considerate abbastanza sufficienti le azioni del governo francese miranti a facilitare gli scambi tra la Russia e la Francia?
Gli sforzi sono chiaramente insufficienti. Queste insufficienze sono a livello di una certa diffidenza nei riguardi della Russia, fino ad una vera russofobia che intralcia le relazioni franco-russe. Se ciò non è un fatto nuovo, le cose si sono relativamente aggravate dall’elezione del presidente Sarkozy nel 2008. Questi si è circondato di consiglieri e ministri provenienti dal suo stesso pensiero di stampo atlantista, ovvero di gente dogmaticamente anti-russa e pro-americana. Nel 2009, la Francia è tornata a far parte della NATO e da allora tenta di conciliare l’inconciliabile, facendo la spaccata tra gli interessi suoi e quelli europei, russi e americani. Tutto ciò quando essa non segue passo passo la realpolitik tedesca, pragmatica e portatrice di riuscite e novità.

Le contraddizioni tra l’adesione alle tesi atlantiste più virulente riguardo la Russia (promosse da una minoranza atlantista) ed il necessario pragmatismo economico e geopolitico europeo hanno dato un colpo alla firma di uno dei più importanti contratti dell’anno franco-russo: la vendita alla Russia delle navi da guerra francesi. Questo negoziato annunciato congiuntamente da Nicolas Sarkozy e Vladimir Putin il 1 marzo 2010 a Parigi, riguarda l’acquisizione di quattro Navi di Proiezione e Comando (Bâtiments de Projection et de Commandement BPC) dalla marina russa. Poi i negoziati vertono su due punti principali: il trasferimento di tecnologia ed il luogo di fabbricazione. Per quanto riguarda il trasferimento tecnologico, i russi sono sicuramente interessati, in particolare ai dispositivi di calcolo di guida delle operazioni aeree, molto probabilmente nell’idea di sviluppare ulteriormente delle portaerei, volendo in effetti la flotta russa dotarsi di 5-6 gruppi aeronavali entro il 2060. Pierre Legros, del gruppo di armamenti navali DCNS, ha recentemente affermato (in occasione del salone Euronaval-2010) che “ai termini del contratto di consegna delle porta-elicotteri (Mistral) in Russia, la cui firma è prevista entro la fine dell’anno, le prime due navi devono essere costruite in Francia. In seguito, la Russia potrà costruire essa stessa due o quattro altre navi su licenza francese”. La tergiversazione sarà dunque durata tutto l’anno, ammettendo ormai che la vendita sia firmata, e ben dimostra le lotte esistenti tra pro ed anti, o, per semplificare, tra reti atlantiste e gaulliste. Ora, la linea anti-russa è oggi assolutamente suicida tanto da un punto di vista politico quanto da uno geopolitico, ma anche economico, dal momento che è noto che il costo di una nave debba oscillare tra i 400 e i 500 milioni di euro. Tengo ad aggiungere che la diffidenza sistematica nei riguardi della Russia, di cui ne danno prova i media francesi, principalmente la stampa, mi sembra provenire dalla stessa area atlantista, e che le prime conseguenze siano un grande freno agli investimenti francesi in Russia e dunque una perdita di denaro, per i russi, ma anche per i francesi.

Di conseguenza, la vendita delle Mistral è doppiamente importante, tanto per la Francia che così affermerebbe la sua indipendenza di fronte alla NATO, che per la Russia, che acquistando del materiale militare da un paese della NATO farebbe un po’ « saltare » un blocco psicologico che paralizza un certo numero di decisori francesi ad investirsi ed a investire in Russia. È tutto quello che possiamo augurarci dall’anno franco-russo, sperare che esso faccia un « reset » riguardo tutti i pregiudizi sulla Russia e che così sia reso onore all’amicizia franco-russa, garanzia della pace tra i nostri due popoli.

Traduzione a cura di Matteo Sardini
Fonti:
-Ria Novosti
-France.mid.ru
-Sito dell’Assemblea Nazionale
-Sito dell’ambasciata di Francia in Russia
-Realpolitik.tV

La questione demografica in Russia

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La questione demografica in Russia
La demografia è uno dei soggetti chiave della storia del mondo Eurasiatico. All’interno del territorio eurasiatico, che si può dividere in due parti “europeo” ed “asiatico”, il divario demografico, è evidente: la parte asiatica raggruppa più del 50% degli abitanti del pianeta, mentre la parte europea comprende meno del 10%. L’inverno demografico, che ha colpito l’Europa, non ha risparmiato la Russia, che sta considerando di affrontare i suoi problemi demografici come il Giappone, lasciando invecchiare e stagnare la sua popolazione, vedendola progressivamente diminuire; ma non mantiene assolutamente la sua demografia sull’immigrazione, contrariamente alle nazioni dell’Europa dell’ovest. In tal senso tutte le esperienze russe, come il Giappone, sono da osservare strettamente.

È frequente leggere in Russia, nella lotta di propaganda e di disinformazione, attraverso i nostri sistemi d’informazione, che la popolazione russa si disperderà, perdendo 700.000 abitanti all’anno, e che questo paese dovrà conoscere nei prossimi decenni, un declino demografico massiccio. L’ONU fornisce la stessa stima, cioè che la popolazione dovrà attendere di vedere gli stessi 100 milioni d’abitanti nel 2050 (!) Contro i 141,9 milioni del 2010. Pertanto sarebbe auspicabile, un’analisi dei fatti corretta, che permettesse di chiamare nuovamente in causa queste affermazioni. 

 

Sintesi della demografia russa dal 1897 al 1991

Riguardiamo attentamente l’evoluzione della popolazione in Russia dal 1897 al 1991. L’analisi è basata sulla popolazione “nelle” frontiere dentro la Russia attuale, all’interno dell’impero del 1897 e ugualmente all’interno dell’URSS. Le cifre fanno riferimento al primo gennaio dell’anno citato:

 

 

* Nel 1897 la popolazione fu di 67,5 milioni e nel 1914 di 89,9 milioni.
Un aumento in17 anni: 22.235.000 abitanti
Un incremento medio di 1.315.000 abitanti l’anno.

 

* Nel 1939 la popolazione è di 108,4 milioni e nel 1959 è di 117,2 milioni
Un aumento in 20 anni : 8.800 000 abitanti
Un incremento medio di 440.000 abitanti all’anno
La media è evidentemnete ponderata a causa dei drammatici avvenimenti in Europa durante i quali L’URSS ha perduto più di 23 milioni di cittadini (militari e civili).

 

* Nel 1959 la popolazione è di 117,2 e nel 1971 di 130,6 milioni
Un Aumento su 12 anni : 13.400.000 abitanti
Un icremento medio di 1.115.000 abitanti per anno.

 

* Nel 1971 la popolazione è di 130,6 e nel 1991 è di 148,3 milioni
Un aumento su 10 anni: 17 .700.000
Un incremento medio di 1.770.000 abitanti l’anno.
Naturalmente, nel 1989 la Russia è il centro dell’URSS, la popolazione dell’URSS nel 1992 si eleva a 292 milioni, contro 148 milioni in Russia nello stesso anno.
Si può chiaramente comprendere, come l’incremento demografico sia stato il più elevato sotto l’URSS dopo il 1970, durante i successivi anni di esistenza di questa unità politica.
Stranamente dal 1989 la media della popolazione si comprime.
Dal 1983 al 1989 la popolazione aumenta di 7 milioni di abitanti, in 7 anni sono 1.000.000 all’anno
Dal 1989 al 1996 la popolazione aumenta di 1,6 milioni di abitanti in 7 anni si parla di 228.000 abitanti all’anno.

 

 
Il crollo demografico 1991-2005

 

Alla caduta dell’URSS, la Russia si ritrova senza poco meno della metà della popolazione. Trenta milioni di russi, residenti nelle repubbliche, divenute paesi autonomi, furono esclusi dal “ricensimento” del 1990, che allora contava 149 milioni d’abitanti.
La scomparsa dell’URSS, il crollo sociale ed economico trascinò la Russia, in una crisi economica, di un’ampiezza senza precedenti. Le misure scioccanti dei riformatori liberi, dell’amministrazione del presidente Eltsin, per rimediare alla “crisi economica” che colpì la Russia, furono le principali cause di questo crollo demografico. Le soluzioni proposte da Egor Gaidar e da Anatoli Tchoubais, crearono involontariamente, per rimbalzo, un vero genocidio demografico. La concessione di “manette″ per l’economia, attraverso il controllo di certe banche e del commercio esterno, cioè un pugno di iniziative vicine al kremlino, permisero a successori di ridurre l’economia del paese in pezzi e di rovinare il paese. Intorno il popolo moriva.

 

Il crollo demografico fu molto rapido, e durò attraverso tutti gli anni ‘90 fino al secondo anno del secondo mandato di Putin, dove fu messo da parte il piano demografico giunto con successo all’attuale presidente russo Dimitri Medvedev. Tra il 1990 e il 1995 il tasso di mortalità è cresciuto del 56% ed il tasso di mortalità femminile del 26% . la speranza di vita maschile è passata da 64 anni nel 1990 a 57 nel 1995 ! la popolazione russia durante questi, anni viveva meno lungamente dei cileni o peruviani. La speranza di vita femminile si abbassa da 74 a 70 anni. Tra il 1990 ed il 1995, l’eccedenza dei decessi durante questo periodo è di 3 milioni d’abitanti, il doppio dei decessi dovuti alle difficili condizioni di vita dei civili in Russia, durante il secondo conflitto mondiale. Il crollo della Russia dal 1990 al 2000 equivale al crollo demografico etiope poi della carestia del 1980, o della Cambogia… questo crollo demografico ha colpito prima le persone anziane poi i giovani. Il crollo demografico ha, inoltre colpito in pieno il sistema ospedaliero russo. La Russia ha conosciuto un nuovo sviluppo di malattie che non esistevano, se non in ⅓ dei paesi del mondo. Difterite, tifo, colera, febbre tifoide… ma soprattutto la tubercolosi, che colpì la popolazione come una frusta. Nel 1995 si stima che almeno un prigioniero su dieci, è stato contagiato. Ogni anno secondo l’istituto statistico di Harvard e l’istituto della salute pubblica di New York, tra il 1990 ed il 1996, le prigioni russe rilasciarono 30.000 portatori sani della malattia in stato attivo e 300.000 portatori della malattia allo stato dormiente, se non fosse stato fatto nulla circa il 12 % della popolazione sarebbe stato contaminato nel 2005.

 

Tra il 1990 ed il 1998 le malattie sessualmente trasmissibili aumentano. Il numero di casi di sifilide recensiti passa da 8.000 a più di 400.000. l’AIDS esplode letteralmente e studiosi dell’epidemiologia russa stimano che al ritmo attuale, 90,10 milioni di persone saranno contaminate nel 2005. (nota di Alexandre Latza: si stima che nel 2009, 500.000 persone saranno colpite dal virus dell’AIDS). L’esplosione dell’Aids ha avuto luogo anche per l’utilizzo delle droghe. Nel 1998 si stima a 5 milioni il numero di tossicodipendenti della popolazione, ( il 3% della popolazione totale) queste cifre sono poi state “diminuite” alla metà.

 

Se i giovani consumano la droga, i più vecchi la bevono. Un’inchiesta del 1998 prova che il 50% degli uomini bevono, in media più di mezzo litro di vodka la dì. Ogni anno muoiono dalle 30.000 e 40.000 persone a causa della vodka alterata. Nulla che interessi gli anni dal 1990 al 1998 è stato censito. 259.000 suicidi, 230.000 decessi (per avvelenamento da vodka) e 169.000 assassinati.

 

Ma soprattutto man mano che i russi muoiono, sempre di più le nascite calano. Alla fine degli anni ‘90 ci sono 3 milioni di aborti all’anno contro un milione di nascite. Ma il numero reale di aborti è cinque o sei volte più elevato. Il principale istituto statistico russo stima, che alla fine degli anni ‘90 più di un adulto donna su tre è sterile, e una su due ha avuto problemi all’apparato riproduttore. Questa assenza di natalità femminile, fu attribuita all’aumento della prostituzione in Russia, e anche all’estero. L’emigrazione molto elevata di uomini verso l’estero fu seguita dall’amento delle donne che diventavano (per necessità o per forza) schiave sessuali, notoriamente dell’Europa dell’est.

 

I bambini che nascevano non potevano essere tenuti. Nel 1993 su 1,6 milioni di nascite, il 5 % dei bambini che nacquero furono abbandonati dai loro genitori. Nel 1998 si è passati da 1,3 milioni di nascite ad un tasso d’abbandono del 9%. Nel 1998 circa 1 milione di bambini era per le strade. Infine le guerre successive hanno causato un duro colpo alle generazioni successive, soprattutto la prima guerra di Cecenia nel 1995, dove alcune migliaia di giovani furono mandati a morte.

 

Tutto ciò ha provocato un declino demografico implacabile. La Russia perse 7 milioni di abitanti in meno di 20 anni. Il ritmo della scomparsa della popolazione russa è balzato facilmente, ad un pò più di 400.000 cittadini in meno di cinque anni.
All’opposto, il potere politico, in totale disgregazione, si rivelò incapace di fare qualsiasi cosa. Se nulla cambierà, il numero il numero dei giovani dai 15 ai 24 anni, si ridurrà di molto nel 2015. Una tale caduta è l’unico esempio storico in tempi di pace. 

 

Il Gosplan: verso l’equilibrio demografico (2005-2009) 

 

Tale carneficina demografica senza precedenti, ha fatto comprendere alle autorità russe, l’urgenza di un piano demografico di più grande ampiezza. Dal 2004, l’anno del suo secondo mandato, il presidente russo Vladimir Putin lancia un progetto federale demografico destinato a ristabilire la demografia del paese. Questo piano, lanciato nel 2005, comprende una serie di misure per aiutare la natalità e le giovani coppie a fare due , tre figli. Le prime e più importanti misure che si posso citare, sono incentivi finanziari dallo stato, dalle società o dalle amministrazioni locali, ma anche aiuti di credito e all’alloggiamento o ancora, buoni d’acquisto nei grandi magazzini. Alcune regioni hanno concesso ai giovani, prestiti alle famiglie, per l’acquisto di alloggi che posso essere favorevoli alla nascita dei bambini, dando anche vataggi fiscali e misure di “clemenza” per i ritardi sul pagmento degli affitti. Inoltre lo stato ha lanciato una grande campagna mediatica d’appello volta a “fare bambini per la patria”.

 

I risultati si fanno sentire velocemnte :

 

– 01 gennaio 2002 –>145,2 milioni
– 01 gennaio 2003 –> 145 milioni
– 01 gennaio 2004 –> 144,2 milioni
– 01 gennaio 2005 –> 143,5 milioni
– 01 gennaio 2006 –> 142,8 milioni
– 01 gennaio 2007 –> 142,2 milioni
– 01 gennaio 2008 –> 142 milioni
– 01 gennaio 2009 –> 141,9 milioni
– 01 gennaio –> 141,9 milioni

 

Nel 2005 la popolazione è calata a 780.000 abitanti
Nel 2006 la popolazione è calata a 600.000 abitanti
Nel periodo che va dal 2002 al 2006 la popolazione è diminuita 2.400.000 abitanti su una base di 600.000 (abitanti) all’anno, in media, comparando gli aumenti di 1 milione o riguardo più annualità già citate nella prima parte di questo articolo.
Nel 2007, la popolazione si è abbassata 300.000 abitanti
Nel 2008, la popolazione è diminuita a 100.000 abitanti
Nel 2009, in Russi, la popolazione, per la prima volta dopo 15 anni è aumentata.
Questa curva, mostra l’evoluzione demografica russa, il crollo dell’Urss è stato il primo traguardo e il secondo è costituito dalla messa in opera del piano demografico Putin\Medvedev.
Nel 2009 il Rosstat (istituto russo di statistica) ha constatato un accrescimento delle nascite in 70 territori della federazione e una riduzione dei decessi in 73 territori su una totalità di 83.

L’aumento naturale della popolazione è stato registrato in 25zone nel 2009 contro le 21 (zone) del 2008, misurando ogni giorno, sempre secondo le stime del Rosstat. Simbolo di questa rinascita demografica è la Siberia, dove la natalità tra il 2000 ed il 2009 è aumentata fortemente considerando il 2000 : 98.000 bambini nacquero in Siberia, e nel 2009 i bambini nati sono 174.000. Secondo il ministro russo della sanità e dello sviluppo sociale, Tatiana Golikova, la stabilità demografica si esplica principalmente attraverso la crescita delle nascite. 1,76 milioni di russi hanno visto la luce nel 2009 vale a dire più del 2,8 % del 2008 : 1,714 milioni. Il mimistro ha inoltre sottolineato che la mortalità resta ancora considerevole : 1, 95 milioni di persone nel 2009. il tasso di moratalità si è inoltre abassato, passando dal 14,2 della natalità su 1.000 nel 2009 contro i 14,6 nel 2008. questo effetto congiunto ” abbassamento della mortalità + aumento delle nascite” è costante da quattro anni. Inoltre la speranza media è in aumento, da 69 anni nel 2009, contro i 62 nel 2000, è oggi 64 per gli uomini e 74 per le donne.

 

Ora il piano demografico, è alla sua seconda fase, la prima è stata il rinnovo della natalità. Questa successiva fase, consisterà nel far diminuire la mortalità annuale del 5 % durante 5 anni (fino al 2015) è ritenuto necessario per il tasso di natalità attuale, che sia stabile affinchè la popolazione si mantenga. E’ da notare che una terza fase del piano (ancora sconosciuta) è fissata per il periodo dal 2016 al 2025. l’obiettivo di stabilizzare la popolazione intorno 142 milioni d’abitanti dal 2016 comprende, due tappe principali, che sono il declino degli aborti e l’abbassamento della mortalità.

 

 
Il declino degli aborti 

 

L’evoluzione della piramide dell’ età in russia, mostra una considerevole riduzione delle giovani donne dai 20 ai 29 anni (in età di procreazione) che dovrebbero diminuire del 35 % da qui al 2020. Per attenuare questo colpo il ministero della sanità russa si auguara di diminuire il numero di aborti, che è il più elevato del mondo : nel 2008 per 1,174 milioni di nascite sono stati recensiti in Russia più di 1,234 milioni di aborti, un tasso di 72 aborti su 100 nascite, comparando i 20 aborti su 100 nascite nello stesso anno, negli Stati Uniti. Secondo Tatyana Golikova, una riduzione drastica del tasso degli aborti è essenziale per contribuire a regolare il problema demografico futuro, che potrebbe colpire nuovamente il paese. Tuttavia, il tasso degli aborti è in calo, e non hai mai raggiunto vette che altri paesi, come la Romania ha toccato.

In effetti il numero di bambini al di sotto dei 18 anni è passato da 38 milioni nel 1995 a 33,5 nel 2000 e a 26,5 nel 2008.

 

L’abbassamento della mortalità

 

Il tasso di mortalità è stato troppo elevato ( leggi qui le distribuzioni) diverse aree sono interessate :
-abbassamento di malattie cardiovascolari , abbassamento del 4,6 nel 2009 rispetto al 2008
– abbassamento dei decessi causati da tubercolosi, diminuzione del 7,8 nel 2009 rispetto al 2008
-abbassamento del tasso di mortalità sulle strade, che è già evidente, nel 2009 la polizia ha registrato
26, 084 decessi in tutta la federazione contro 33,308 decessi nel 2007.
– lotta contro le morti dovute al consumo di droghe : 70.000 morti all’anno nel 2008 sono
Soliti fare uso di stupefacenti e (sono state registrate) da 30 a 40.000 morti per overdose. La Russia conta molti consumatori di stupefacenti rispetto all’intera Europa orientale.
-la lotta contro i decessi dovuti ad alchool : la mortalità dovuta ad intossicazioni da alchool alterato è già diminuita del 32%. Il governo, nella sezione sanitaria, del piano 2020 si è prefissata come obiettivo di diminuire della metà, il consumo d’alchool per abitante ; da qui a dieci anni, l’achool è stato responsabile indirettamente della morte di 500.000 persone all’anno.
Pertanto anche se in forte calo, la diminuzione naturale della popolazione continua. Ogni volta questa depopolazione è stata compensata dall’accrescimento delle immigrazioni secondo le cifre effettuate dal servizio federeale di immigrazione, che mostra come solo negli 11 mesi del 2009 la cittadinanza russa è stata concessa a 333,474 stranieri. Una parola veloce su questa immigrazione, dopo aver attentamente analizzato l’argomento.

Dal 1999 (fin dal mandato di Eltsin), il tasso di emigrazione dei russi è in costante abbassamento, da un’emigrazione di 250.000 persone all’anno durante il 1998-1999 si è passati nel 2008 a meno di 20.000. Comparando la percentuale degli arrivi, dopo essersi abbassato dal 1998 (500000) al 2004 (120.000), è salito nuovamente, ma stabile dal 2007 con circa 280.000 persone all’anno. Dal 1990 al 2008 l’immigrazione in Russia relativa ai paesi stranieri, è salita a 5.347.027 persone. Non tutti sono restati, 4.168.980, ovvero il 75%. Tale dato corrisponde apporto, netto medio di 231.610 persone all’anno. Ribadisco, inoltre, che la popolazione russa è stata di 142 milioni d’abitanti, che annualmente costituisce meno dello 0,2 % della popolazione totale. Questi immigrati sono per il 90% cittadini del CEI (comunità degli stati indipendenti – ex URSS-) come si può vedere qui. Dal 1992 al 2007 la gran parte dell’immigrazione verso la Russia è composta da etnie russe che sono di ritorno dalle ex repubbliche 65%, cittadini di differenti minoranze russe 11%, infine 24% di immigrati di altre origini. Nel 2003 la componente etnica russa ha costituito dal 65%, e i slavi (incluse Ukraina e Bielorussia) il 72%. Nel 2007 la componente slava, è diminuita del 50%, la parte spettante al Caucaso è salita invece da 9% al 21%, dell’Asia centrale da 4% a 14%. Il centro di sondaggi, GKS (servizio statale federale statistico) fornisce un dettaglio sulla ripartizione delle migrazioni attraverso le entrate dall’anno 2003 al 2008, ma anche attraverso le uscite del territorio della federazione. L’immigrazione clandestina, costiutisce, poi tutto altro problema, secondo i propositi di Vladimir Putin nel 2006 : il numero di immigrati illegali in Russia, potrebbe superare la cifra di 15 milioni. Maggiore dell’Europa e dell’America, messe insieme…in primo luogo le valutazioni attuali contano 500.000 persone registate su 10 milioni di stranieri lavoranti nel nostro paese. Inoltre, 10 milioni non è una cifra definitiva, poichè “nessuno sa esattamente in che modo stiano lavorando per noi”.

nel 2008, secondo le cifre del servizio nazionale di immigrazione (FMS) ci sarebbero 9,2 milioni di cittadini starnieri in Russia, di cui l’80% provengono da un paese della CEI (comunità degli stati indipendenti – ex URSS-), di questi 9 milioni i ⅔ lavorerebbero illegalmente. 

 

Demografia in russia nel 2010
Il primo semestre del 2010 è stato altrettanto positivo, il numero di nascite ( 868.936) è 2,3% superiore al primo semestre del 2009 ( 849.267) con 19,569 nascite in più. La mortalità è in netto abbassamento, con una crescita dell’1,8% durante il primo semestre del 2010 (1.010.988 decessi) rispetto (1.029.066) al primo semestre del 2009, sono 18.078 decessi in meno. La parte netta della popolazione calcolata nel primo semestre del 2010 è di 142.152 abitanti, contro i 179.799 abitanti per il primo semestre del 2009. In riferimento alla comparazione dei due semestri, le morti avvenute per malattie cardiovascolari sono diminuite del 2% solamente, e le morti di cancro dello 0,7% solamente. Diversamente, si può constatare un abbassamento del 6,1% di morti per ragioni esterne. All’interno di questo gruppo, le morti per strada, avvelenamenti, suicidi e omicidi si sono abbassate del 10-15%. Per la prima volta dal 1998, il nuero di decessi per l’anno 2010, dovrebbe essere inferiore a due milioni.

 

La demografia russa, previsioni dal 2010 al 2030

 

Sono tre le previsioni demografiche che sono state considerate per la demografia in Russia nel 2010.
Secondo una previsione meno accreditata, del ministero della sanità russa, la popolazione dovrebbe continuare ad abbassarsi fino a raggiungere i 139.630 nel 2016, il tasso di abbassamento dovrebbe toccare 500.000 abitanti all’anno nel 2015, poi 700.000 nel 2020, ed infine 900.000 o un milione verso il 2030. la popolazione si stabilizzerà a 128.000 abitanti nel 2030. il tasso di immigrazione resterebbe intorno ai 200.000 all’anno per i prossimi 20 anni.

 

Secondo un’altra previsione del ministero della sanità russa, la popolazione russa dovrebbe legermente aumentare fino al 2016, ( per raggiungere i 142.160.000 abitanti), poi cominciare nuovamente a diminuire 200.000 o 300.000 abitanti nel 2020, per raggiungere e 139. 372.000 abitanti nel 2030. Il tasso di immigrazione sarà contenuto, con una media di 350.00 nuovi entranti all’anno, che è un pò più superiore della media del 2009, anno durante il quale 334.500 stranieri e apolidi hanno ricevuto la cittadinanza russa.

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Secondo una ulteriore, accreditata previsione del ministero della sanità, la popolazione dovrebbe aumentare fino a 144.000.000 abitanti nel 2016 e continuare ad aumentare fino a 148.000.000 nel 2030. il tasso di immigrazione sarebbe più alto in tale ambito, prevedendo l’aumento della popolazione, raggiungendo i 475.000 nuovi entranti all’anno. Anche se (il tasso di immigrazione) rimane ancora relativamente basso, rappresentando lo 0,4% della popolazione del paese. Nell’arco di 20 anni si giungerà ad un’ “immigrazione” equivalente all’8% della popolazione totale del paese. Sarà tuttavia, (l’immigrazione) principalmnte costituita da cittadini del Caucaso e della CEI, dunque da popolazioni post-sovietiche, russofone , le cui comunità sono già presenti in Russia, dunque sostanzialmente simili.

 

(Traduzione di Giulia Vitolo)

Il futuro dell’Europa è la Russia!

“Non c’è dubbio che la fine della Guerra Fredda” abbia segnato la fine della fase più lunga dello sviluppo internazionale – 400-500 anni, durante i quali la civiltà europea ha dominato il mondo. L’Occidente storico ha sempre portato aventi questa posizione dominante.”


“Il nuovo stadio è talvolta definito come ‘post-americano’. Ma certo questo non è il ‘mondo dopo gli Stati Uniti’ e tanto più senza gli Stati Uniti. Si tratta di un mondo, dove, in seguito alla nascita di altri centri di potere e influenza a livello mondiale, l’importanza relativa del ruolo d’America è ridotta, come era già avvenuto negli ultimi dieci anni nell’Economia e nel Commercio globali. La leadership è un altro problema, in particolare è quello di ottenere un accordo tra le parti, la capacità di essere il primo, ma tra uguali”.


“Per definire il contenuto dell’ordine mondiale in formazione, ci sono anche termini come multipolare, policentrico, non-polare”.


“Noi non condividiamo i timori che la riconfigurazione attuale stia inevitabilmente portando il mondo nel ‘caos e nell’anarchia’. “Vi è il naturale processo di formazione di una nuova architettura internazionale – sia a livello politico che finanziario ed economici, che soddisfano le nuove realtà.


“La Russia vede se stessa come parte della civiltà europea, che possiede delle comuni radici cristiane”.


“Il duro modello anglo-sassone di sviluppo socio-economico presenta di nuovo delle tare, come negli anni ‘20 del XX.mo secolo. L’Occidente aveva creato una architettura finanziaria e un quadro economico globale soprattutto a sua immagine. Ed ora, che siamo in presenza dello spostamento riconosciuto da tutte le forze economiche e finanziarie verso le nuove economie in rapida crescita di Cina, India, Russia, Brasile, diventa evidente che questo sistema non è adeguato alla nuova realtà s. Fondamentalmente, abbiamo bisogno di una base finanziaria ed economica, che corrispondeva al mondo policentrico di oggi.”


***

A più di un anno dall’intervento di Sergei Lavrov (Giugno 2008) una cosa è chiara, la crisi finanziaria è pienamente confermata. All’alba dell’autunno del 2009, l’Occidente si sta preparando a uscire dalla storia attraverso la porta sul retro, dopo aver mandato in metastasi tutta l’umanità. In questo nuovo mondo in configurazione, è bene chiedere quale sia il ruolo che le nazioni dell’Europa continentale vogliono giocare.

Nel momento in cui le linee di faglia stanno diventando sempre più illeggibili, vale la pena ricordare che l’unica possibilità di sopravvivenza degli europei autoctoni è quello di sopravvivere fuori dalla suicida carreggiata atlantista e sviluppare una collaborazione ampia e integrata con la Federazione Russa, in modo che la coppia “Euro-Russa” mantenga la pace nell’Heartland, in seno a questo nuovo mondo multipolare e policentrico.


In un mondo policentrico e multipolare, l’unità europea è inevitabile

Lungi dal contrastare l’idealismo politico, la realtà del mondo di domani passa attraverso l’economia e la demografia. Il declino dell’influenza americana si riflette anche nell’aumento dell’influenza di numerosi altri operatori (BRIC, mondo arabo-musulmano ricco di energia e di capitale umano). La popolazione mondiale ha ormai raggiunto i 6,5 miliardi di persone e prevede di superare i 9 miliardi entro il 2050. L’Europa, che ora ha 728 milioni di abitanti (1/3 al di fuori dell’UE) dovrebbe vedere la sua popolazione cadere tra i 564 milioni e i 632 milioni di abitanti, che rappresenta tra il 7 e l’8% della popolazione mondiale, e meno del 20% del PIL o quasi, quanto la Cina da sola(!). La Francia, per fare un esempio, dovrebbe avere 70 milioni di abitanti nel 2050, che rappresenteranno lo 0,8% della popolazione mondiale, uno su tre avrà più di 60 anni(!) e la metà dello strato più giovane della sua popolazione sarà, in quel momento, di origine non europea, principalmente afro-maghribina.

In questo contesto, e nonostante i discorsi decisi delle personalità più credibili e interessanti (Nicolas Dupont Aignant, Paul Marie Couteaux o Jean Pierre Chevènement, per citarne alcuni) l’uscita dall’UE e i ritorno al “sovranismo” nazionale è probabilmente l’ultima delle soluzioni da prendere in considerazione. L’Unione europea è certamente imperfetta al 99%, ma è viziata in quanto è guidata da Bruxelles, che è il portavoce del partito “americano“, che tratta l’Europa come una colonia americana.

Peggio ancora, gli americani (che vogliono prima di tutto mantenere la loro posizione dominante e difendere i loro interessi) non vogliono un’Europa unita e potente, in grado di non seguire la loro offensiva militare illegale, se non addirittura di opporvisi diplomaticamente o addirittura militarmente. È per questo che gli americani fanno di “tutto” per inserire il loro cavallo di Troia (turco) in Europa, a seminare discordia e destabilizzare in un insieme omogeneo. Né si deve dimenticare che la Turchia, il secondo esercito della NATO, con Israele il pedone dell’America in Medio Oriente, e quella che occupa militarmente l’Europa (Cipro).

Questo è la ragione per cui gli americani hanno fatto di tutto per dissuadere De Gaulle dall’ottenere l’indipendenza nucleare e lasciare il comando integrato della NATO. Perché una Francia indipendente è un preludio di un’Europa indipendente, che potrebbe portare ai peggiori scenari per gli strateghi americani, perdendo il vantaggio acquisito alla fine della guerra (l’occupazione dell’Europa occidentale) e quindi la presa sul “fronte occidentale” dell’Heartland.

Anche per questo motivo alcuni strateghi del “partito americano” in Europa, hanno pienamente compreso l’interesse a sostenere il “rifiuto” all’UE sostenendo i partiti “Eurofobi”, come è accaduto apertamente nel caso dell’Irlanda, con l’esempio dei candidato Libertas. Più di recente, il Bruxellofobo Philippe de Villiers ha anche aderito al partito atlantista di Nicolas Sarkozy, l’UMP, anche se apertamente europeista e dopo che aveva fatto reinserire la Francia nel comando integrato della NATO.


La perdita di sovranità dei paesi europei è un processo che ha vissuto due fasi principali.

* Il primo è la fine degli imperi, col Trattato di Westfalia, e la promozione dell’identità nazionale (Stato-nazione) come identità primaria. Questa nazionalizzazione dell’identità europea ha creato le condizioni per la guerra dei trent’anni che ha devastato il nostro continente nella prima metà del 20° secolo. Curieux hasard, le traité de westphalie mettait lui également fin à une guerre civile européenne de 30 ans. Curiosa coincidenza, il Trattato di Westfalia messo fermare una guerra civile europea di 30 anni.

* La seconda fase è la frammentazione regionale. Questo processo politico che ci viene detto come eminentemente progressista (le regioni sarebbero la fase finale dell’integrazione politica europea) è infatti il risultato di un processo politico di una volontà esterna, per indebolire l’Europa tramite le fratture in entità delle loro piccole dimensioni e senza nessuna autonomia, né sovranità economica o militare. Questo era particolarmente vero per l’Europa orientale, come Cecoslovacchia, Jugoslavia e Unione Sovietica, per ovvie ragioni: queste nazioni non hanno ‘lambito’ il bagno occidentale, poiché erano sospettate per la loro riluttanza nell’allineamento all’area euro-atlantica.


Ciò che è più sorprendente, quindi, è che i partiti europei maggiormente regionalisti, siano i partiti decisamente più europeisti e più attivi in favore dell’espansione della NATO e dell’integrazione euro-atlantica. Queste stesse “linee” politiche sono condivise dai commissari di Bruxelles, gli agenti zelanti degli interessi americani in Europa.

Evidentemente l’Europa di Bruxelles si oppone all’Europa potente e indipendente che vogliamo. L’Unione europea carnale e reale (non legale) è comunque l’unico obiettivo da difendere affinché gli europei siano padroni del loro destino e, una volta ridiventati attori e non solo spettatori. Oltre al fatto che il mondo di domani non sarà probabilmente più “aperto” di quello che consociamo, sarà plausibilmente un mondo di confronti, blocchi in conflitto, di territori, zone e civiltà. In questo mondo di crescenti tensioni, la chiave per l’Europa sarà quello di costruire una struttura di difesa che le appartenga e gli permetta di proteggere i suoi interessi e dei suoi cittadini. In questo senso, le proposte del Presidente Medvedev sulla necessità di creare una struttura di sicurezza Pan-Europea (in sostituzione della NATO) è una sfida molto interessante per l’Europa.


In un mondo policentrico e multipolare, uscire dalla NATO e creare una di difesa continentale non atlantica

La NATO è un’alleanza militare formata nel 1949 per contrastare l’Unione Sovietica, ma anche il rischio di una futura situazione nuova per l’Europa, come s’è visto con la Germania. Rapidamente, questa partnership sotto il controllo Anglosassone, ha indotto la formazione di un’alleanza concorrente nell’altro blocco (URSS) nel 1955: ‘il Patto di Varsavia’. Questa duplice alleanza divideva il mondo in due blocchi rivali fino al 1958, quando la Francia di De Gaulle ha deciso di lasciare il blocco anglo-sassone e sviluppare il proprio programma nucleare. Nel 1966, la Francia lasciò il comando della NATO e il quartier generale della NATO si spostò da Parigi a Bruxelles, dov’è ancora oggi, dunque Bruxelles ospita le istituzioni europee e quelle della NATO. La svolta, meno di 30 anni dopo, nel 1995, del presidente francese Chirac che iniziò i negoziati per reintegrarsi nel comando unificato della NATO, è approvata e attuata dal presidente Nicolas Sarkozy, il 17 Marzo 2009.

È quindi opportuno chiedersi quali siano le ragioni per il ritorno della Francia come attore chiave nella NATO. Questa, in effetti, non ha oggi che due funzioni principali, che sono nel puro interesse dell’America, ma vanno totalmente contro gli interessi europei.

In primo luogo è diventata un’arma di conquista del cuore eurasiatico da parte dell’America, e in questo senso la sua estensione ad est, ai confini della Russia, passa con l’adesione di nuovi paesi (Nuova Europa) con motivazioni erronee, quali la paura dell’imperialismo storico russo, che non esiste, ma che gli strateghi statunitensi mantengono perfettamente in vita.

Sotto la copertura dell’ingresso nel ‘partenariato euro-atlantico’, la NATO si trasferì direttamente nel cuore dell’Europa, per spingere la Russia in un angolo dell’Oriente e dividere ancora l’Europa, stabilendo basi militare al confine con la Russia. Questo è il vero obiettivo della campagna di Serbia (la Serbia è una pedina russa nella logica del Pentagono), con la base Bondsteel, ma anche della rivoluzione orchestrata in Ucraina, il cui obiettivo è quello di installare una base americana in Crimea, al posto dell’attuale base russa.

Dall’11/09/2001 anche la NATO è stata trasformata in un “esercito di crociati“, agli occhi del mondo musulmano, e gli strateghi stessi hanno cercato di convincerci che la NATO è un baluardo contro l’estremismo islamico e l’aggressione terroristica. Non c’è bisogno di essere degli eruditi per capire che le campagne in Iraq e in Afghanistan, anche se fossero vinte (cosa improbabile) non sconfiggerebbero il terrorismo “islamico“. L’islamismo è ora usato come uno scudo e paravento per giustificare degli obiettivi geopolitici assai precedenti. Non è sospetto che l’attacco all’Afghanistan sia stata motivata dall’11/09, ma pianificata con largo anticipo e che il suo vero obiettivo è l’installazione delle truppe statunitensi nel cuore dell’Eurasia? Si può ridere senza credere che l’Iraq baathista di Saddam Hussein sia stato un vettore globale del terrorismo islamico, o piuttosto preso a bersaglio per i suoi pozzi di petrolio?

Le guerre di dominio dell’impero americano sono delle guerre per controllare le risorse naturali, qui sono concentrate (oltre all’Artico) tra la penisola Araba, l’Irak, l’Iran, il Golfo Persico, il sud della Russia (Caucaso) e in Afghanistan. Insomma questi conflitti per l’energia scatenati per falsi motivi, non sono quelli dell’Europa. Peggio ancora, essi possono provocare tensioni etnico-religiose sul territorio dell’Europa. La disintegrazione della Jugoslavia ha dimostrato quanto una struttura di sicurezza sia essenziale per mantenere l’armonia e affrontare la destabilizzazione dall’esterno.


Il recente caso del Kosovo ha dimostrato perfettamente come l’Europa sia la testa di ponte degli Stati Uniti per “attaccare” e “conquistare l’Eurasia” e, dunque, la Russia e creare tensioni tra i popoli europei e in particolare con la Russia, a cui l’‘avvertimento’ serbo era stato inviato. Il culmine di questa politica di conquista, il voto del Silk road strategy Act, da parte del Congresso US nel 1999, destinato a “promuovere l’indipendenza del Caucaso e dell’Asia centrale, e creare un ponte terrestre su cui deviare il commercio di questi paesi con l’Occidente (che attualmente passa attraverso il territorio russo) verso il percorso dell’antica Via della Seta, che conduce ai porti turchi, un paese della NATO”. L’oleodotto BTC, che passa attraverso la Georgia, fa parte della strategia e spiega in parte lo sviluppo dell’assistenza militare alla Georgia dopo l’avvento al potere di Mikhail Saakashvili.


In un mondo policentrico e multipolare, per prevenire la terraferma disintegrazione continentale

Sempre nel 1999, nonostante l’attacco alla Serbia, e dopo 10 anni di collasso totale, l’avvento al potere di Vladimir Putin porta la Russia a recuperare e a riprendersi la sua posizione nella scena politica mondiale. Con l’Europa oscillante verso la NATO (in cui le nazioni europee partecipavano all’aggressione contro la Serbia), la Russia, la Cina e le nazioni musulmane dell’Asia Centrale nel 2001 hanno creato la SCO, come anche l’OSTC nel 2002. Queste alleanze militari eurasiatiche e inter-religiose sono progettate per respingere il duplice accerchiamento di Russia e Cina, da parte dell’Esercito US e per difendere i confini regionali eurasiatici. Nelle parole di Zbigniew Brzezinski: “La strategia eurasiatica degli Stati Uniti ha generato una reazione col riavvicinamento tra la Russia e la Cina. Le due potenze continentali stanno costruendo una vera e propria alleanza militare contro la coalizione anglo-sassone e dei suoi alleati“.  Questa offensiva americana verso est (da Berlino a Kiev) s’è materializzata in due fasi essenziali, dal 1996 al 2009.

* Nel 1996 è stata creata l’organizzazione GUUAM comprendente Georgia, Uzbekistan, Ucraina, Azerbaigian e la Moldavia. Queste nazioni desideravano, in quel momento, uscire dal girone post-sovietico, dopo la caduta del muro e nel contesto del crollo dello stato russo. Non è sorprendente che queste nazioni abbiano posizioni geografiche strategiche e, pertanto, siano state vittime di rivoluzioni colorate finanziate da ONG vicine alla CIA (Rivoluzione Arancione, dei tulipani, delle rose e di recente, in Moldova, dopo le elezioni) come anche dei cambiamenti di regimi pro-occidentali. Simbolo del “colore” di questa associazione, i membri osservatori sono la Turchia e la Lettonia(!). Tuttavia, questi regimi rovesciati non hanno ottenuto i risultati desiderati dai loro sostenitori (integrazione nella NATO e nell’UE, miglioramento del tenore di vita ..), ma invece hanno portato ad un peggioramento della situazione economica e ad alcuna integrazione nelle strutture euro-atlantiche. E’ la ragione per la quale l’uscita dell’Uzbekistan, nel 2005, e il mancato raggiungimento di obiettivi concreti dell’organizzazione, l’hanno messa fuori servizio e per cui, nel maggio 2006, il politologo azero Zardust Alizade esprimeva ancora i suoi dubbi sulle ‘prospettive di sviluppo dell’alleanza e l’ottenimento di risultati concreti’.


* Oggi, il secondo passo si materializza aggressivamente con l’apparire di un nuovo fronte che potrebbe essere chiamato GUA (Georgia, Ucraina, Artico).

In Georgia: l’incapacità politica del presidente ha spinto gli strateghi americani a lanciare un’operazione militare nell’ agosto 2008, comunque fallito, perché l’esercito russo ha reagito con forza e “liberato” i territori dell’Ossezia e d’Abkhazia. Questo conflitto è il primo conflitto tra la Russia e l’America fuori dai confini della Russia (il precedente è la destabilizzazione Wahabita in Cecenia, fomentata in larga misura dalla CIA).

In Ucraina il recente conflitto sul gas riflette le crescenti tensioni e un osservatore perspicace ha pensato, recentemente, che “una guerra limitata con il pretesto di una disputa territoriale, dovrebbe esplodere conducendo all’interruzione delle forniture di gas per un periodo più o meno lungo, la crisi del gas dovrebbe portare i consumatori europei a un simile taglio”.

L’Artico richiede un proprio sviluppo, esorto i miei lettori a leggere i miei articoli precedenti in proposito e a visitare il blog “zebrastationpolaire“, al riguardo.

Queste tattiche di accerchiamento, di contenimento e di destabilizzazione hanno obiettivi diversi:

– Controllare Mar Nero, del Mar Caspio e del Baltico e le zone chiave per il transito tra Oriente e Occidente.

– Dominare i futuri corridoi energetici, attraverso un progetto di costruzione di oleogasdotti, che aggiri la Russia e che colleghi le regioni del Mar Caspio, Mar Nero e del Mar Baltico.

– Estendere l’influenza della NATO a est, nel cuore dell’Eurasia per ridurre la sfera di influenza russa (nel suo vicino all’estero), ma soprattutto in Europa, e prevenire un possibile sviluppo dell’influenza cinese in Asia centrale

Ovviamente un lettore ignaro dirà che i russi e gli americani hanno continuato a competere dal 1945 e, in generale, questo non è il caso dell’Europa e degli europei. I realtà è esattamente il contrario …


In un mondo policentrico e multipolare, l’alleanza Euro-Russa è la chiave di volta della pace nel continente

Le conseguenze di cui sopra sono assolutamente drammatiche per l’Europa. Esse hanno per conseguenza di dividerci dalla Russia sul piano della civiltà, della geopolitica e della politica energetica o, ancora, di creare un nuovo muro in Europa, non a Berlino, ma nel cuore dell’Ucraina, che separa l’Occidente (sotto l’influenza americana) dall’Oriente (sotto l’influenza della Russia). Più prosaicamente, questo linea di faglia “quasi” taglia l’Europa ortodossa da quella cattolica-protestante, riprendendo la visione delle culture separate di S. Hungtinton, nella sua opera ‘lo scontro delle civiltà’. Infine vale la pena notare che la Cina, l’attore geopolitico ed economico maggiore, giudica probabilmente l’Europa (attraverso la NATO), co-responsabile della situazione di accerchiamento che subisce, sia in Occidente (Asia Centrale) che ad est (nel Pacifico, al largo delle sue coste). La rottura con due attori-chiave come la Russia (il paese più grande del mondo) e Cina (il paese più popoloso del mondo) è doppiamente grave. In caso di crescente tensione tra la NATO e la SCO, la Francia e i paesi dell’Europa occidentale sarebbe in conflitto con una organizzazione che riunisce quasi un terzo degli abitanti del mondo, copre 32,3 milioni km quadrati e possiede il 20% delle risorse energetiche mondiali di petrolio, il 38% di gas naturale, il 40% di carbone e il 50% di uranio.

La strategia di separazione dalla Russia e dell’Europa occidentale e centrale, può anche aver come conseguenza la “limitazione” dell’Europa in un micro-territorio incastrato nell’ovest del continente e di tagliarla dalle immense possibilità che le offrirebbe un partenariato con la Russia.


· L’Europa ha bisogno della Russia per il livello energetico, perché essa ha riserve di petrolio e gas di cui l’Europa ha bisogno. La Russia è un fornitore stabile, come dimostra il suo rapporto con la Turchia, che non soffre di alcun problema di approvvigionamento (si deve ricordare che i tagli alle forniture durante la guerra del gas con l’Ucraina, erano dovuti a quest’ultima, ma i ‘media’ hanno curiosamente incolpato la Russia). La questione energetica è cruciale, poiché  l’Europa, sotto il comando americano, si vede offrire della alternative ad alto rischio, come la sostituzione della Russia con la Turchia (paese della NATO candidato all’adesione all’Unione europea!), in qualità di fornitore (Nabucco invece che South Stream) o, ancora, a partecipare a dei conflitti per l’energia (Iraq), che potrebbero esplodere.


· L’Europa ha bisogno il potenziale favolosa della Russia, tanto per il potenziale umano dei suoi 140 milioni di abitanti, che geografico, con i suoi 17 milioni di chilometri quadrati e il suo sbocco sul Pacifico. Diverrebbe un giocatore di primo piano nel mondo, come l’Asia, che è in pieno sviluppo.


· Anche la Russia ha bisogno dell’Europa e degli europei, sia per il movimento di materie prime che per le sue tecnologie o capitale umano, che potrebbe utilizzare per riempire lo spopolamento nelle zone a oriente degli Urali. Infine e soprattutto, ha bisogno dell’Europa come alleato naturale, complementare, poiché nata dalla stessa civiltà.


In realtà, questa unità Euro-Russa (sola garante della pace e dell’indipendenza dei popoli del continente), non solo è di vitale importanza, è auspicabile poiché gli europei occidentali e la Russia, in primo luogo, appartengono alla stessa civiltà.

Come ha detto Natalia Narochnitskaya recentemente, in una conferenza a Parigi: “La vera cooperazione tra la Russia e l’Europa potrebbe però dare un nuovo impulso al nostro continente all’alba del terzo millennio. Le grandi culture romano-germanica e russo-ortodossa condividono le stesse fondamenta cristiana, apostolica e spirituale. Gli europei, siano essi occidentali o russi, hanno dato al mondo i più grandi esempi della spiritualità ortodossa e latina.”

È per questo che il futuro dell’Europa è la Russia.


Traduzione di Alessandro Lattanzio

Noi siamo tutti Osseti!

Mentre la cerimonia dei giochi olimpici si è appena conclusa sotto gli sguardi di 3 miliardi di telespettatori (un essere umano su due), e che gli asini del “democratismo totalitario”, quali Cohen-Bandit o Robert Ménard affrontano i mulini, un’operazione militare “essenziale” ha luogo nel Caucaso, in Georgia, diventato dal 2003 uno dei principali campi di battaglia tra la Russia e l’America.
L’Ossezia o Alania (degli Alani) è un vecchio stato del Caucaso ‘riconosciuto’ dall’URSS. In occasione del crollo di quest’ultimo, l’Ossezia fu tagliata in due, tra il suo nord (sotto controllo russo dal 1774) ed il suo sud, riconosciuto come regione autonoma fin dal 1922 ed integrato di fatto alla Georgia. In occasione dell’indipendenza della Georgia, questa eliminò lo statuto d’autonomia dell’Ossezia che, de facto, chiese la sua indipendenza per referendum nel 1992, allo scopo d’essere riunificato al suo nord, rimasto nella federazione della Russia.
La rivoluzione delle rose del 2003 complicherà la situazione, il nuovo presidente agli ordini di Washington, Mixeil Saakašvili, avendo come priorità di trasformare il suo paese in satellite della NATO, di distanziarsi della Russia e trasformare la Georgia (come il Kosovo) in luogo di passaggio dei condotti caspici.
Nonostante un secondo referendum nel 2006, l’Ossezia non si vede riconoscere lo statuto d’autonomia e d’indipendenza chiesto, l’America e l’Unione europea non riconosce questo referendum, contrariamente alla Russia. La situazione è da allora tesa, fino a quest’estate del 2008, quando dopo diversi scontri a fuoco, l’esercito georgiano ha lanciato il 7 agosto sera, un’offensiva di ampia portata sull’Ossezia meridionale, per conquistare la sua capitale Tskhinvali e per “restaurare l’ordine costituzionale” nella repubblica.
24 ore più tardi, più di 1.500 persone sono state uccise, migliaia di profughi fuggivano dalle zone dei combattimenti… ma le forze georgiane, che affermavano d’avere conquistato la capitale in giornata, sembravano iniziare un ritiro dalla capitale, cacciati dalla resistenza Osseta che ha ottenuto il sostegno dei cosacchi del Don e di molte centinaia di volontari Osseti!!
L’Ossezia non è una piccola regione senza importanza del Caucaso, è un punto nevralgico “essenziale” nella lotta tra l’America ed il suo progetto nocivo per il Caucaso, e la Russia, garante della pace in questa regione da 300 anni. Il sostegno all’Ossezia è una delle pietre angolari del rifiuto del contrattacco planetario in corso, lanciato da Washington e dai suoi alleati “euro-turchi” della NATO.
La battaglia in corso è la battaglia per l’Eurasia, la battaglia finale contro gli scopi mondialisti criminali dell’impero americano. La resistenza passa “buttando” fuori da questa zona gli americani, e rendere ai greci, agli Osseti, e agli Armeni ciò che è loro!
La Georgia è, infatti, uno dei membri del GUAM ed uno dei pedoni essenziali dello scavalcamento ed accerchiamento della Russia (Europa dell’est, Ucraina, Caucaso, Asia centrale). L’obiettivo di Washington è, infatti, di creare uno spazio sul “lato caucasico”, fondato da autonomismi e indipendentismi antirussi.
Questa strategia dello smembramento degli stati in micro identità deboli e dipendenti, è la politica applicata in Europa dell’est (ex Iugoslavia ed ex Cecoslovacchia) ed in Medio Oriente (Iraq in 3 stati).
Questo non è il nostro progetto!
Rifiutiamo completamente la logica di guerra e di odio adottata dal governo pro-occidentale di Tbilissi!
Se ieri eravamo tutti serbi, oggi siamo tutti Osseti!
Non esitate a consultare il sito della resistenza Osseta: http://cominf.org/
Come il sito della Radio dell’Ossezia: http://www.osradio.ru/

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Merci à alex lattanzio