Quasi due anni fa scrissi un articolo che tentava di spiegare la nascita quasi inevitabile di un nuovo movimento politico in Russia, una sorta di sincretismo tra la versione moderata e occidentalizzata del liberalismo degli anni ’90 e la versione 2.0 del nazionalismo moderato russo, versione meno imperiale ma nazionale, sul modello europeo. Tale nuovo movimento politico in Russia ha sostituito il preistorico e classico nazionalismo imperiale e anche le correnti ultraliberali senza fede e morale degli anni ’90, creando una nuova ideologia, indicata come nazional-liberale o nazional-democratica.
L’attuale realtà socio-politica emersa soprattutto a Mosca e San Pietroburgo in occasione delle grandi manifestazioni di fine 2011, a seguito delle elezioni nazionali che i manifestanti ritenevano truccate e sleale. Tale ideologia è oggi molto popolare tra i giovani russi delle città moderne che desiderano identificarsi culturalmente, moralmente e politicamente con l’Europa occidentale e l’occidente in generale. Qualificando soprattutto, a torto o a ragione, “classe creativa” tale parte dell’opinione pubblica, più o meno l’equivalente russo della borghesia improduttiva (bobo) francese (in Italia, ceto medio semicolto). Tuttavia, i tentativi di entrare in politica di tale movimento creativo nazionale e liberale, finora sono falliti. I protagonisti di tale movimento non hanno saputo superare la prova delle elezioni che hanno affrontato.
Pensiamo bene all’assai brevemente pubblicizzata ambientalista Evgenija Chirikova di Khimki (di cui non parla più nessuno dalla sconfitta alle elezioni) o di Aleksej Navalnij, che ancora una volta ha fallito nel tentativo di essere eletto sindaco di Mosca.
A parte la mancanza di idee e programmi politici veri e propri, una delle principali ragioni del fallimento elettorale è il fatto che questa nuova borghesia occidentalizzante sia relativamente libertaria, soprattutto progressista. Aleksej Navalnij per esempio è a favore del Gay Pride a Mosca e tutte le sfaccettature della classe creativa sono apertamente a favore delle Pussy-Riot, con cui l’occidente è più che compiacente.
Resta inteso che le varie azioni delle Pussy Riot, anarchici di estrema sinistra, si adattano molto bene a tale contesto libertario e trasgressivo, diretto contro un ordine religioso e morale simboleggiato dalla figura paternalistica dell’attuale presidente russo. L’oligarca Khodorkovskij, vi sorprenderà, può anch’egli essere incluso in tale lista, perché ora che è libero resta il beniamino economico dell’occidente. Eppure alcune idee dell’ex-oligarca sono sorprendenti, come questo articolo dimostra, dicendo che il tizio ora sarebbe favorevole “allo Stato-nazione alla tedesca” e indirettamente a un “nazionalismo” che non sia “sciovinismo”.
Ancora più sorprendente, le Pussy Riot riaffermano di voler rovesciare Putin e vedono molto bene l’ex-oligarca Khodorkovskij come presidente, che le ha sostenuto dalla sua cella in Karelia. Leggendo queste righe, ci si può chiedere quale misterioso legame possa esserci tra un gruppo di giovani anarchici di estrema sinistra e un oligarca che ha cercato di distruggere la Russia vendendone le risorse energetiche (acquisite illegalmente) al principale concorrente politico e storico del proprio Paese: gli Stati Uniti d’America.
In Russia, tali correnti di pensiero occidentali, sia nazionaliste che liberal-libertarie, furono un tempo di sinistra (tutte vicine al Partito comunista), poi liberali (Navalnij era di Jabloko e vicino a Marija Gajdar del movimento “Noi”), si sono ora convertite al nazionalismo nella variante filo-occidentale, plausibilmente anche per ragioni elettorali. I loro leader si pretendono i nuovi responsabili della sgangherata corrente politica post-sovietica emersa in Europa orientale nei primi anni 2000 dalle strade di Belgrado. Nel 2000, migliaia di serbi infatti dimostrarono contro un presidente che ritenevano, senza dubbio a torto, responsabile della tragica situazione in cui il Paese si trovava dopo un decennio di guerra, blocco internazionale, pressione dei media e 78 giorni di bombardamenti della NATO.
Tra di loro molti giovani nazionalisti che volevano por termine a un regime che definivano “corrotto e criptocomunista“. Nel 2003 in Georgia, come nel 2004 e nel 2005 in Ucraina, accadde la stessa cosa: una parte dei giovani scese in piazza per uscire dall’inerzia politica russa/post-sovietica mostrando il desiderio per un futuro migliore nello spazio euro-atlantico che ancora faceva sognare all’epoca.
Tutto ciò prese il nome di corrente ‘arancione’, che sostiene i Paesi interessati all’indipendenza nazionale, contro la Russia ma per integrarli nelle nuove strutture sovranazionali come NATO e UE, dritto verso l’occidente. Tale tendenza beneficia anche del supporto logistico, politico, mediatico, finanziario e morale del gigantesco sistema USA-centrici.
Un decennio dopo, mentre la Serbia è la più avanzata nel processo d’integrazione ed è alle porte dell’Unione Europea, tali movimenti patriottici serbi si oppongono e sono in prima linea nella lotta contro i loro governi europeisti, contro l’ingresso del Paese nell’Unione europea e contro le leggi libertarie che tutto ciò comporta. Tale tipo di movimento non si trova solo in Russia o Serbia, si vede oggi in Ucraina condurre violente manifestazion, nei giorni scorsi, contro la via russa dell’Ucraina, in parte fomentate da gruppi nazionalisti radicali (si è parlato di “rivoluzione bruna”) pronti al compromesso con Bruxelles e ostili a Mosca.
Anche in tale caso, la presenza di manifestanti antisistema di estrema sinistra non sembra un problema; una combinazione di circostanze che può sembrare sorprendente, ma non molto. Una recente indagine ha provato che l’ideologia delle Femen nacque prossima ai movimenti neo-nazisti ucraini e che il gruppo ha goduto a lungo del sostegno diretto di alcuni leader di estrema destra. Così le Femen, nazionaliste in Ucraina ma contro il Fronte Nazionale, i cattolici e l’ordine morale in Francia, hanno capito chiaramente ciò che viene tollerato ed è di moda, così come ciò che non lo è, a seconda del luogo in cui si trovano. E’ un dato di fatto: l’UE mostra tolleranza totale verso i movimenti nazionalisti radicali quando vengono usati per rovesciare i regimi ostili alla NATO. Ma Bruxelles non tollera la presenza di gruppi nazionalisti nell’Unione europea. In tale zona, un osservatore lucido avrà notato in particolare il doppio standard tra il trattamento di Alba Dorata in Grecia e quello di Svoboda in Ucraina, per esempio.
I movimenti di protesta radicali sono di fatto gli alleati del 21° secolo dell’espansionismo occidentale nel battere gli avversari in Europa orientale, come lo furono alla fine del 20° secolo i movimenti islamici nell’Asia centrale, consentendogli di battere l’URSS?
Per Xavier Moreau è proprio così, dato che “in politica estera, l’Unione europea non fa che registrare le decisioni prese da Washington e Berlino. Il dipartimento di Stato degli Stati Uniti sa bene che le leve che di solito usa (media, partiti liberal-democratici, minoranze sociali o sessuali…) non sono adeguatamente controllate o politicamente influenti per poter sovvertire l’Ucraina. La soluzione è lanciare una campagna di destabilizzazione di tipo rivoluzionario e questo può essere fatto solo utilizzando uno dei quattro pilastri tradizionali dell’influenza statunitense (trotskismo, fascismo, islamismo e criminalità organizzata). Il risultato più favorevole ai rivoluzionari sarebbe la creazione di un “governo fascista di transizione”, sul modello di ciò che fu fatto in Croazia, dove un governo socialdemocratico prese il posto dell’ultra-nazionalista Franco Tudjman, e consegnò il Paese a UE e NATO.“