La Grande Albania: un progetto degli Stati Uniti contro il mondo ortodosso?

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Dicembre 2012, il primo ministro albanese Sali Berisha ha concesso la nazionalità albanese a tutti gli albanesi, ovunque essi vivano. Questa dichiarazione è stata fatta durante una visita nella città di Valona, dove 100 anni fa venne dichiarata l’indipendenza dello Stato albanese.

L’Albania veniva liberata dal dominio ottomano. Questa dichiarazione seguiva un’altra, comune in questo caso, che Sali Berisha fece con il suo omologo kosovaro Hashim Thaçi qualche settimana prima, che prometteva l’unione di tutti gli albanesi. Un posto ben scelto, visto che la maggioranza degli abitanti del Kosovo, oggi, è di origine albanese, anche se non è sempre stato così.


Dopo la guerra dei Balcani del 1913, i serbi costituivano ancora la maggioranza della popolazione. Nel 1941, il Kosovo veniva annesso alla Grande Albania, da che era già un protettorato dei fascisti italiani. Dopo la guerra, il maresciallo Tito vietò l’immigrazione albanese verso la Jugoslavia, che sarebbe stata più forte con una Serbia il più debole possibile. Nel 1974 fu del resto lui che attribuì al Kosovo lo statuto di provincia autonoma, statuto che verrà rimosso da Slobodan Milosevic nel 1989, quando i serbi erano già il 15% della popolazione.

Quando nel 2008 il Kosovo si dichiara indipendente, quasi un decennio dopo l’intervento militare occidentale, pochi puntarono il dito sugli albanesi che dominano questo nuovo piccolo Stato. Era invece arrivato il momento di festeggiare questo popolo cosiddetto oppresso, di ottenere infine la libertà. Nella maggioranza dei paesi occidentali e dell’Unione europea, il riconoscimento è istantaneo, senza porsi alcuna domanda sul trattamento riservato alla minoranza serba e al futuro che l’attende, nonostante il terribile precedente del 2004 quando i cristiani furono vittime di pogrom, le chiese vennero bruciate, i diritti umani basilari violati. E’ vero che l’Europa, pardon l’Unione Europea, aveva in quel momento altre priorità: l’organizzazione del Gay Pride a Belgrado.


Ci sono voluti solo 4 anni affinché la farsa dell’indipendenza del Kosovo divenisse manifesta. Ci sono voluti solo 4 anni al Primo Ministro albanese per dare ragione ai nazionalisti serbi che affermavano, ed affermano ancora, di non avere a che fare con i kosovari (essendo gli abitanti del Kosovo serbi), ma piuttosto con gli albanesi, in un nuovo episodio della guerra che contrappone da quasi sei secoli, nei Balcani, gli slavi ortodossi ai discendenti dei convertiti dall’Impero Ottomano. Il sostegno occidentale alla creazione del Kosovo e l’accanimento contro la Serbia sembrano totalmente inspiegabili. Pertanto dal 1991 al 2008, una sola e stessa logica anima le strategie dell’Unione europea: la distruzione della Serbia, al fine di renderla il più debole possibile in futuro, fino al momento storico in cui inevitabilmente si volgerà verso la Russia. Naturalmente, allo stesso tempo era necessaria una Russia indebolita al massimo.


Dal 1991 al 2000 è stata in atto una guerra militare e mediatica contro la Serbia di Milosevic per annientarla, e allo stesso tempo una guerra economica e morale contro la Russia di Eltsin. La crociata contro il mondo comunista si è trasformata in crociata contro il mondo ortodosso e contro il suo centro nevralgico e politico più importante: la Russia. Il teorico del contenimento russo in Eurasia, lo statunitense Zbigniew Brezinski, l’affermava egli stesso nel 2007: “Il principale nemico dell’America è oramai la Chiesa Ortodossa Russa“. La creazione della grande Albania è probabilmente vista in questo senso storico e geostrategico. Questa potrebbe essere la scintilla che scatenerà un nuovo inferno nei Balcani.


Ciò si tradurrebbe in un ulteriore indebolimento dell’Europa, ma anche in una destabilizzazione del mondo ortodosso (Macedonia, Grecia, Montenegro, Serbia…) e frenerebbe il loro riavvicinamento con la Russia. A sua volta, l’influenza russa in Europa orientale potrebbe essere messa in discussione e, di conseguenza, il suo riavvicinamento con l’Europa occidentale. Così gli Stati Uniti hanno ancora una volta raggiungono il loro obiettivo primario: impedire un riavvicinamento continentale ed europeo tra il mondo cattolico e quello ortodosso.

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